«L’aumento delle accise sui carburanti, e in particolare sul gasolio, non solo rappresenta un aggravio immediato per famiglie e imprese, ma rischia di innescare una pericolosa e perversa spirale inflazionistica che andrebbe a colpire l’intera economia. Oltre a contraddire la linea politica del governo, la misura non sembra tenere conto delle difficoltà economiche che stanno già affrontando i cittadini italiani. Pertanto, un ripensamento su questa strategia appare non solo opportuno, ma necessario per evitare conseguenze economiche ancora più gravi». Lo dichiara il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara. «Una misura di questo tipo risulterebbe fortemente penalizzante per l’economia italiana. Sia le famiglie sia le imprese ne risentirebbero in maniera profonda, con ripercussioni a catena che finirebbero per erodere il potere d’acquisto dei cittadini e aumentare i costi di gestione per le aziende, innescando una spirale perversa di aumenti dei prezzi al consumatore finale. Uno degli aspetti più controversi di questa proposta di aumento delle accise è la sua evidente contraddizione con la linea politica del governo guidato da Giorgia Meloni. Durante la campagna elettorale e nei primi mesi di governo, l’esecutivo si è più volte dichiarato contrario a nuove tasse sui carburanti, ritenendo che tali misure avrebbero solo peggiorato la situazione economica per famiglie e imprese. Le dichiarazioni dell’esecutivo sono sempre state orientate verso una riduzione della pressione fiscale e un alleggerimento delle accise, considerando l’impatto diretto e indiretto che queste imposte hanno sull’economia reale. Pertanto, l’eventuale introduzione di nuovi aumenti contraddirebbe chiaramente questa linea, creando sconcerto tra gli elettori che avevano riposto fiducia in una politica di sostegno alla crescita e di contrasto all’aumento del costo della vita» aggiunge Ferrara.
Secondo il Centro studi di Unimpresa, le accise sui carburanti sono tasse indirette che si riflettono immediatamente sul prezzo alla pompa, facendo lievitare i costi per chiunque utilizzi veicoli per i propri spostamenti quotidiani.
Un aumento delle accise sul gasolio, carburante che alimenta una buona parte del parco veicoli italiano, si tradurrebbe in un aggravio diretto per milioni di famiglie, molte delle quali utilizzano auto diesel. Questo incremento dei costi rappresenta solo la prima di una serie di conseguenze negative.
Quando il prezzo del carburante aumenta, non si limita a colpire chi guida, ma incide in modo indiretto su tutti i beni e servizi che dipendono dal trasporto su gomma. Dalle merci nei supermercati, ai prodotti agricoli, fino ai beni di largo consumo, i costi logistici aumentano e inevitabilmente questi vengono scaricati sul consumatore finale.
La conseguenza? Un generale aumento dei prezzi che riduce ulteriormente il potere d’acquisto delle famiglie. In un contesto economico già provato da un’inflazione persistente, aggiungere un ulteriore carico fiscale come l’aumento delle accise significa colpire ulteriormente il bilancio familiare, riducendo la capacità di spesa e comprimendo i consumi.
Per le imprese, l’aumento delle accise rappresenta un ulteriore fattore di stress in un contesto già complesso. Molte aziende italiane, soprattutto quelle del settore trasporti, logistica, agricoltura e manifattura, fanno ampio uso di mezzi diesel per il loro operato quotidiano. Un incremento dei costi del carburante si traduce immediatamente in una riduzione dei margini di profitto o, in alternativa, in un aumento dei prezzi dei loro prodotti o servizi, per compensare l’aumento delle spese operative. In questo modo, l’aumento delle accise non solo impatta direttamente i costi di gestione delle aziende, ma contribuisce ad alimentare una spirale inflazionistica.
I rincari sui beni e sui servizi derivanti dall’aumento dei costi energetici e di trasporto non fanno altro che appesantire ulteriormente la pressione sui consumatori, generando una recessione della domanda. Se le imprese non possono permettersi di trasferire interamente questi costi sui consumatori, si troveranno costrette a ridurre i costi, magari diminuendo gli investimenti, tagliando posti di lavoro o rallentando la produzione.
Uno degli effetti più preoccupanti dell’aumento delle accise sul gasolio è l’innesco di una spirale inflazionistica difficile da controllare. Quando i costi di produzione aumentano a causa delle accise più alte, i prezzi al dettaglio seguono l’andamento, provocando una crescita generalizzata del livello dei prezzi. Questa dinamica si ripercuote su tutta la catena del valore: dall’approvvigionamento delle materie prime al trasporto e alla distribuzione, ogni fase del processo produttivo risente dell’aumento del costo dei carburanti, creando un ciclo vizioso che porta a ulteriori incrementi dei prezzi.
Inoltre, l’inflazione, già elevata negli ultimi anni a causa di fattori esterni come la crisi energetica e l’instabilità geopolitica, verrebbe ulteriormente alimentata da questa misura. I cittadini italiani si troverebbero quindi a fronteggiare una duplice sfida: da un lato, l’aumento del costo del carburante e, dall’altro, un incremento generalizzato dei prezzi di tutti i beni e servizi essenziali. Tutto questo rende più difficile mantenere stabile il potere d’acquisto, con conseguenze potenzialmente disastrose sull’economia interna.
SCHEDA: DALLE ACCISE GETTITO DI 25 MILIARDI L’ANNO PER LO STATO
Le accise sui carburanti rappresentano una delle principali fonti di entrata fiscale per lo Stato italiano.
Sono imposte indirette che gravano sui prodotti energetici come benzina e gasolio e vengono applicate per finanziare varie voci di spesa dello Stato. Il gettito derivante dalle accise sui carburanti è estremamente rilevante per le casse dello Stato.
Solo nel 2023, le entrate derivanti dalle accise sui prodotti petroliferi sono state stimate in circa 25 miliardi di euro. Di questi, una parte significativa è destinata a finanziare la spesa pubblica ordinaria, mentre una quota è utilizzata per specifiche finalità, come la gestione delle emergenze ambientali o la manutenzione della rete stradale.
L’attuale struttura delle accise sui carburanti si compone di diverse componenti, alcune delle quali sono state introdotte per fronteggiare situazioni di emergenza nel passato, ma che ancora oggi gravano sul prezzo finale pagato dal consumatore.
Nel dettaglio, l’accisa base per il gasolio è di 0,617 euro per litro. Questa è la quota principale e costituisce la parte maggioritaria del prelievo fiscale.
Tuttavia, a questa si aggiungono altre micro-imposte, introdotte per finanziare interventi specifici in momenti di crisi.
Un esempio è il contributo per i disastri naturali, pari a 0,007 euro per litro, che era stato introdotto per far fronte a calamità come il terremoto del Friuli del 1976. Nonostante siano passati decenni, questa componente rimane ancora in vigore. Un’altra voce rilevante è il contributo di 0,001 euro per litro destinato a coprire le spese relative alla guerra in Libia del 2011. Anche questo è un esempio di come misure fiscali temporanee vengano spesso mantenute a lungo termine.
Un ulteriore contributo, pari a 0,002 euro per litro, è stato introdotto in seguito al terremoto che colpì l’Emilia-Romagna nel 2012, destinato alla ricostruzione e alla gestione delle emergenze. Infine, esistono voci di accisa dedicate a gestire le conseguenze di eventi più recenti, come la crisi migratoria del Mediterraneo, che comporta un prelievo di 0,003 euro per litro di gasolio.
Queste componenti, sommate all’accisa base, portano il totale delle accise su un litro di gasolio a circa 0,630 euro. A questo si aggiungono ulteriori oneri fiscali, come l’IVA, che si applica non solo sul prezzo del carburante, ma anche sulle stesse accise, generando un effetto moltiplicatore sui costi finali.
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