di Paolo Longobardi, Presidente onorario Unimpresa
L’uscita di scena di Ernesto Maria Ruffini dall’Agenzia delle Entrate non può essere archiviata come un semplice cambio della guardia ai vertici di un’istituzione chiave per il nostro Paese. È necessario andare oltre le frasi di circostanza e riflettere su ciò che questo passaggio significa davvero per l’Italia. Ruffini ha dichiarato di lasciare “per rimanere se stesso”, rivendicando il diritto di parlare di bene comune e senso civico. Parole altisonanti, ma prive di una reale autocritica sui fallimenti e sulle difficoltà che hanno segnato la sua gestione. Perché diciamolo chiaramente: se oggi il fisco è percepito come un nemico dai cittadini e dalle imprese, non è colpa di qualche “chiacchiericcio” o di presunte campagne denigratorie, ma di un sistema fiscale che sotto la guida di Ruffini si è dimostrato sempre più aggressivo, distante dalla realtà e incapace di distinguere i veri evasori da chi lotta ogni giorno per sopravvivere.
Le piccole e medie imprese italiane, già soffocate da una pressione fiscale insostenibile, hanno spesso subito un trattamento da “sorvegliati speciali”. L’Agenzia delle Entrate, anziché essere un alleato per la crescita e il rispetto delle regole, è sembrata a tratti una macchina punitiva, cieca davanti alle difficoltà strutturali di chi produce ricchezza e lavoro in Italia. Ruffini parla di record nel recupero dell’evasione, ma non dice che troppo spesso si è trattato di accanirsi su errori formali e piccole irregolarità, mentre i grandi evasori continuano a rimanere impuniti.
È ora che si cambi passo. Serve una svolta radicale nella visione e nella gestione dell’Agenzia delle Entrate. Il successore di Ruffini deve essere rapidamente individuato e deve rappresentare una figura capace di dialogare con le imprese, di comprendere le difficoltà del tessuto produttivo e di costruire un sistema fiscale equo, che premi chi rispetta le regole e punisca chi davvero evade. Non è accettabile che il fisco venga percepito come una spada di Damocle sulle teste di imprenditori e cittadini onesti. È necessario abbandonare il paradigma dell’“oppressione fiscale” e costruire una nuova cultura del rispetto delle regole, basata sulla fiducia reciproca e su un rapporto trasparente tra Stato e contribuenti.
Il Governo prenda atto delle criticità emerse negli ultimi anni e di mettere al centro della scelta del nuovo direttore dell’Agenzia delle Entrate due priorità: semplificazione e proporzionalità. Non possiamo più permetterci un fisco che funziona solo sulla carta, con normative incomprensibili e meccanismi applicativi che penalizzano chi vorrebbe mettersi in regola ma viene travolto dalla burocrazia. È il momento di ricostruire il rapporto tra Stato e contribuenti su basi solide, senza ambiguità e senza retorica. L’Italia ha bisogno di un fisco che sia leva di sviluppo, non un ostacolo insormontabile. Questo cambio di leadership può e deve essere l’occasione per segnare un nuovo inizio. Le imprese e i cittadini italiani non meritano altro che questo.
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