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Banche e credito. Appello al buon senso

A distanza di pochi anni le imprese si trovano nuovamente a fronteggiare un inasprimento delle condizioni creditizie. L’Intervento del Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco all’Assiom Forex rafforza la convinzione che ci troviamo di fronte a una vera e propria stretta creditizia. Le banche hanno chiuso i rubinetti del credito e in una fase recessiva, come quella che stiamo vivendo, corriamo il rischio che il nostro sistema produttivo, costituito prevalentemente da piccole e piccolissime imprese, collassi.
Messi con le spalle al muro da questa inattesa emersione di verità, le banche stanno rapidamente abbandonando la prima linea di difesa basata sulla negazione del problema (“il credito è sempre cresciuto”) ripiegando sulla seconda: “le banche vorrebbero fare credito, ma hanno tanti problemi… lo spread, l’EBA…”. Prima o poi l’ABI riuscirà a trovare una linea di comunicazione e di difesa migliore, anche se temo verrà sotterrata dai nuovi esempi che balzeranno alla cronaca.
Sull’emergenza in atto parlano i fatti. Come sottolineato dalla Banca d’Italia, fino allo scorso novembre il credito erogato dalle banche italiane al settore privato non finanziario aveva continuato ad aumentare, pur se a ritmi decrescenti. Negli ultimi tre mesi del 2011 i prestiti erogati dal sistema bancario alle imprese sono diminuiti dell’1,5% e a dicembre la contrazione è stata addirittura del 2,2%. In questo mese l’entità della diminuzione, circa 20 miliardi, risulta molto elevata nel confronto storico, anche se – a detta di Via Nazionale – potrebbe avere in parte risentito della volatilità dei dati di fine anno.
Si è del pari ridimensionata la domanda di finanziamenti da parte delle imprese, per le sfavorevoli condizioni cicliche. Basti pensare che le insolvenze l’anno scorso hanno superato gli 80 miliardi di euro.
I finanziamenti alle famiglie sono solo leggermente calati. In base a dati preliminari, un’ulteriore, lieve, contrazione del credito si sarebbe verificata in gennaio.
Veniamo da una moratoria che ha significato sospensioni di rate di debito per 65 miliardi di euro a beneficio di oltre 225 mila imprese. Il Governo ha annunciato una stucchevole versione 3 della moratoria, che avrà per forza di cose i problemi della versione 2: non può essere concessa per una seconda o terza volta, ma solo a chi non ne ha mai usufruito. Per chi ne ha già usufruito resta la possibilità di concordare allungamenti del piano di ammortamento. E che dire dell’allungamento di 120 giorni gli anticipi su fatture insolute? Una pastiglia che non risolve il problema dei ritardati pagamenti, e che comporta altri oneri finanziari all’8-9% per il povero creditore.
Sono entrambe misure utili, ma totalmente inefficaci nel sostenere un’impresa che è in piena crisi e che ha bisogno molto altro rispetto ad un semplice spostamento di qualche rata! Se davvero cerchiamo di evitare 25.000 fallimenti e 200 miliardi di credito ritirato dalle banche, un accordo tra ABI e Associazioni delle imprese richiederebbe terapie diverse da queste misure.
In questo deprimente scenario i ritmi regolatori continuano ad essere incalzanti, poiché impostati su schemi propri del periodo pre-crisi. Basilea 3, mira a riformarli ma molti sono i dubbi e le perplessità che il percorso che le Autorità sovranazionali stiano  seguendo sia quello più appropriato, in grado cioè di consentire un corretto svolgimento dell’attività bancaria dal lato degli impieghi.
Il centro del piatto sul tema del credito: sono i costi (spread) moltiplicati senza una vera giustificazione ma solo a fini di costruzione di margini nel conto economico 2012 delle banche; sono i crediti negati per un’esagerata avversione al rischio a tutta una fascia d’imprese il cui unico torto è avere un rating (giusto o sbagliato?) non brillante; sono le ristrutturazioni gestite con troppa cautela e lentezza.
Personalmente ritengo che l’intensità della stretta creditizia che ha colpito le imprese dipenda, tra le altre cose, anche dalla struttura gerarchica delle banche che sono presenti nel mercato del credito in cui operano.
Si può negare un credito, ma spiegando le ragioni, si possono chiedere garanzie straordinarie, ma non insistere su situazioni manifestamente scorrette da un punto di vista commerciale (polizze assicurative, pegni, etc.). Si può chiedere il tempo per analizzare una richiesta, ma 3 o 4 mesi sono un insulto verso il richiedente. Si può condannare al fallimento una piccola impresa familiare, ma non ci si può dimenticare di avere comprensione per le vicende umane.
Le banche i cui centri direzionali sono distanti dalla loro clientela rappresentano fonti di finanziamento meno affidabili in tempi di crisi. La distanza funzionale che separa il centro decisionale della banca dagli sportelli periferici rende più difficile e costosa la raccolta e la gestione delle informazioni di natura informale e non codificata sulla clientela locale. Ciò attenua la capacità delle banche distanti di instaurare rapporti di credito esclusivi e duraturi con le PMI e rende meno conveniente l’impegno verso questo segmento di clientela. Di conseguenza, in aree in cui il sistema bancario è funzionalmente distante, le condizioni di accesso al credito da parte delle PMI tendono a essere mediamente più difficili e ci si può attendere che gli effetti di una eventuale stretta da parte delle banche siano relativamente più severi.
Ancora una volta, anche in questa fase sarà essenziale la capacità delle banche di valutare attentamente il merito di credito, senza far mancare il sostegno finanziario ai clienti solvibili e meritevoli. Un adeguato e stabile volume di finanziamenti è, del resto, essenziale per l’attività delle stesse banche. Come ha tenuto a sottolineare, in una recente intervista, il segretario generale di Assopopolari, Giuseppe De Lucia Lumeno, <<l’attività di credito alle PMI implica l’assunzione di rischi difficili da valutare solo seguendo schemi statistico-contabili. La complessità riguardo la valutazione circa l’effettiva condizione economico-patrimoniale, intrinseca in queste imprese per varie ragioni fra cui la stretta relazione fra patrimonio aziendale e familiare, costituisce un limite a tale modo di operare in sede di valutazione del merito di credito>>.
Ciononostante, ritengo che il credito può essere difficile, selettivo, esigente ma non “sgarbato”. Le asimmetrie informative sono in larga misura superabili attraverso la relazione con il cliente basata su contatti frequenti e di lungo periodo, tipici della banca a vocazione localistica o di territorio.
Pur tuttavia, esiste una strisciante corrente di pensiero radicata da tempo nelle banche, in un certo tipo di bancari, che prevede totale libertà e impunità nei confronti dei clienti deboli e peggiori, che fa coppia con il servilismo verso i clienti grandi e potenti.
Non resta che appellarsi al buon senso perché, proprio in questa fase così difficile nei rapporti con le piccole imprese, le banche scelgano una linea trasparente, “educata” e comprensiva dei gravi problemi altrui per dare di esse e del nostro Paese un’immagine migliore.

Paolo Longobardi, presidente Unimpresa

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