Analisi del Centro studi sull’impatto delle linee guida dell’Autorità bancaria europea: ridotta la flessibiltà, meno denaro in circolazione. Gli istituti hanno a disposizione un cuscinetto finanziario di 466 miliardi e non lo utilizzano. Il segretario generale Lauro: «Famiglie e imprese hanno bisogno di ossigeno, viene tolto loro il fiato»
Le nuove regole bancarie europee sui conti correnti in rosso e sui default delle imprese potrebbero avere effetti negativi su 31,8 miliardi di euro di liquidità. La cifra corrisponde all’ammontare degli sconfinamenti registrati nei bilanci di tutte le banche italiane e riferiti al a settembre 2020. È quanto segnala il Centro studi di Unimpresa, secondo cui le linee guida dell’Autorità bancaria europea (Eba) cambiano i criteri sugli sconfinamenti e, di fatto, sparisce la possibilità di andare in rosso sul conto corrente, considerando i limiti assai contenuti sia per le famiglie (100 euro) sia per le imprese (500 euro): qualora violati, infatti, trascorsi 90 giorni, si finisce nella lista dei cattivi pagatori e ci si finisce pure se un arretrato relativo a un prestito supera la soglia dell’1% del totale degli affidamenti. «Va messo in evidenza il paradosso di fronte al quale ci troviamo: in piena emergenza economica cagionata dalla pandemia Covid, in banca ci sarebbe stato e ci sarebbe bisogno di flessibilità oltre che di liquidità. Non è accettabile, quindi, che entrino in vigore norme che vanno nella direzione opposta. Le nuove regole dell’Eba, infatti, cancellano la flessibilità e corrono il rischio di ridurre drasticamente la liquidità. Non si tratta di pochi spiccioli. Mentre imprese e famiglie hanno bisogno di ossigeno, il regolatore, con la politica silente, toglie loro il fiato» commenta il segretario generale di Unimpresa, Raffaele lauro.
Secondo il Centro studi di Unimpresa, l’ammontare complessivo degli sconfinamenti di imprese e famiglie, registrati sui bilanci delle banche e delle società finanziarie, corrisponde a 31,8 miliardi di euro. Il dato è aggiornato al terzo trimestre del 2020. Rispetto al totale di 31,8 miliardi, 2,05 miliardi si riferiscono a sconfinamenti per prestiti da 30.000 euro a 75.000 euro (che interessano una platea di 2,4 milioni di soggetti), 1,1 miliardi sono relativi a crediti da 75.000 euro a 125.000 euro (1,6 milioni di clienti), 1,5 miliardi riguardano finanziamenti da 125.000 euro a 250.000 euro (1 milioni di affidatari), 1,4 miliardi corrispondono ad affidamenti da 250.000 euro a 500.000 euro (239.624 clienti). I restanti 25 miliardi sono per importi inferiori a 30.000 euro o superiori a 500.000 euro. In ogni caso, i 31,8 miliardi di euro di sconfinamenti rappresentano solo una piccola quota rispetto al margine disponibile delle banche: su un totale di 1.967,1 miliardi di crediti accordati, infatti, quelli utilizzati sono 1.532,9 miliardi. Il cuscinetto a disposizione delle banche – e tuttavia fermo, inspiegabilmente non utilizzato – è pari a 466,08 miliardi.
«La stretta sugli sconfinamenti e sui default della clientela bancaria arriva, oggi, nel 2021, con regole pensate e scritte quasi cinque anni, a giugno 2016, fa da una autorità, quindi da burocrati e non dalla politica. L’Unione europea si è limitata a svolgere un ruolo di notaio, se non di passacarte. Così anche i partiti che siedono nel Parlamento di Strasburgo, rimasti in un silenzio assordante. Tutto risulta fuori posto, sia nei tempi sia nei contenuti. È la sopraffazione del potente regolatore europeo rispetto alla inadeguata e appiattita politica, non solo nazionale. È la rappresentazione plastica della subalternità degli Stati membri alla stessa Unione europea, che introduce regole senza saper o voler “leggere” le esigenze locali, incapace di correggere gli errori alla luce di momenti storici straordinari» aggiunge il segretario generale di Unimpresa.
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