Crollano di oltre 43 miliardi di euro, in un anno, i prestiti delle banche a imprese e famiglie. Da luglio 2022 a luglio 2023, lo stock di crediti concessi al settore privato è passato da 1.351 miliardi a 1.307 miliardi, con una discesa superiore al 3%.Nel frattempo, complice il rallentamento della crescita economica e il rialzo dei tassi d’interesse, è tornato a crescere l’ammontare delle sofferenze che a luglio scorso, dopo un lungo periodo di tendenza in diminuzione, sono arrivate di nuovo oltre quota 16 miliardi di euro, in aumento di 580 milioni su base annua e in salita, rispetto a luglio 2022, di oltre 2 miliardi. È quanto emerge dal rapporto mensile sul credito realizzato dal Centro studi di Unimpresa, secondo il quale lo stock degli impieghi delle banche verso le imprese e le famiglie è calato, al netto delle cartolarizzazioni, del 3,21%, dai 1.351,2 miliardi di luglio 2022 ai 1.307,8 miliardi di luglio 2023. «Sullo scenario del credito bancario si è addensata la nube, fosca, della politica monetaria della Banca centrale europea. Era scontato. Con 10 rialzi del tasso di riferimento in appena 14 mesi, le condizioni di accesso ai prestiti sono diventate di fatto proibitive e, chi aveva finanziamenti a tasso variabile ha dovuto fronteggiare un imprevisto aumento del costo dell’indebitamento con gli oneri finanziari che sono saliti anche del 70-80%. Tutto questo rappresenta un macigno per le famiglie e per le aziende, in particolare per le piccole e medie imprese: quelle che non hanno riserve di liquidità sufficienti a coprire questa fase si trovano in enorme difficoltà. È un problema serissimo del quale deve farsi carico il governo: la tassa sugli extra profitti delle banche non è una aberrazione, ma il corretto mezzo per smantellare una ingiusta rendita di posizione» commenta il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora.
Secondo il rapporto del Centro studi di Unimpresa, che ha rielaborato dati della Banca d’Italia, il totale dei crediti delle banche al settore privato, al netto delle cartolarizzazioni, è passato da 1.351,2 miliardi di luglio 2022 a 1.307,8 miliardi di luglio 2023, in discesa di 43,3 miliardi (-3,21%). «Questi dati, talora contestati dalle associazioni di categoria del settore creditizio, non tengono conto delle cartolarizzazioni di prestiti, vale a dire impieghi in buona parte deteriorati che le banche hanno ceduto, nel corso del periodo in esame, a società veicolo o specializzate. Se quei valori fossero computati nel conto totale, i risultati sarebbero diversi, tuttavia appare più corretto prendere in considerazione solo il credito risultante negli attivi bancari ovvero quello che è alla base della relazione tra la banca e la propria clientela» osservano gli analisti di Unimpresa. Più nel dettaglio, i prestiti destinati alle aziende sono passati dai 674,1 miliardi di luglio 2022 ai 635,3 miliardi di luglio scorso, con una diminuzione di 38,6 miliardi (-5,74%). Sono diminuiti i finanziamenti a breve termine (fino a 1 anno di durata), passati da 153,2 miliardi a 145,6 miliardi in calo di 7,6 miliardi (-4,98%), sia quelli di lungo periodo (con scadenza superiori a 5 anni), passati da 362,1 miliardi a 335,2 miliardi in discesa di 26,8 miliardi (-7,42%). In calo anche il credito di medio periodo (fino a 5 anni), sceso di 4,1 miliardi (-2,61%) da 158,7 miliardi a 154,5 miliardi. Per quanto riguarda i prestiti alle famiglie, il credito al consumo e i mutui ipotecari hanno contenuto il calo complessivo che si è attestato a meno 4,7 miliardi (-0,70%) da 141,8 miliardi a 133,7 miliardi: i prestiti per comprare casa sono saliti di 3,1 miliardi (+0,73%) da 422,3 miliardi a 425,4 miliardi; il credito al consumo (ovvero quello concesso principalmente per l’acquisto di viaggi, arredamento, automobili, elettrodomestici, computer e smartphone) è aumentato del 2,68% con una crescita di 3,1 miliardi da 114,2 miliardi a 117,3 miliardi. Si è registrato, invece, un calo significativo di 10,8 miliardi (-7,74%) per i prestiti personali (quelli concessi senza una finalità specifica), passati da 140,6 miliardi a 129,7 miliardi.
Quanto alle rate non pagate, nei primi sette mesi del 2023 si è registrata una preoccupante inversione di tendenza nell’andamento delle sofferenze bancarie: i crediti “malati” delle banche sono cresciuti, infatti, di oltre 2 miliardi di euro tra dicembre 2022 e luglio scorso con un aumento che sfiora il 16%. A luglio dello scorso anno, le rate non pagate da famiglie e imprese erano a quota 15,8 miliardi. Le sofferenze nette delle banche (quelle calcolate dopo le svalutazioni) a luglio scorso valevano 16,4 miliardi di euro. Il dato è in crescita di 580 milioni (+3,6%) rispetto ai 15,8 miliardi di luglio 2022 e di ben 2,2 miliardi (+15,8%) rispetto a dicembre dello scorso anno. Ad agosto 2022 il totale dei crediti ammalorati delle banche, calcolati al netto delle svalutazioni di bilancio sulla base delle regole europee, era a quota 16,2 miliardi. Questo l’andamento dei mesi successivi del 2022: 16,1 miliardi a settembre, 16,6 miliardi a ottobre, 16,1 miliardi a novembre e 14,2 miliardi a dicembre. Da inizio 2023 una progressiva risalita: 15,3 miliardi a gennaio, 15,5 miliardi a febbraio, 15,1 miliardi a marzo, 15,2 miliardi ad aprile e a maggio, 16,5 miliardi a giugno e 16,4 miliardi a luglio. Su base annua, invece, si registra un calo generale delle sofferenze lorde di 3,9 miliardi (-11,30%) dai 35,1 miliardi di luglio 2022 ai 31,2 miliardi di luglio 2023. Il rapporto tra le sofferenze lorde e il totale degli impieghi al settore privato è passato dal 2,60% al 2,39%. Le sofferenze nette sono aumentate su base annua di 580 milioni (+3,65%) da 15,8 miliardi a 16,4 miliardi. Il rapporto tra le sofferenze nette (quelle non coperte da garanzie reali) e il totale degli impieghi al settore privato è passato dall’1,18% all’1,26%. In generale, sono diminuite, su base annua, le sofferenze di tutte le categorie di clientela: quelle riconducibili alle aziende sono calate di 2,1 miliardi (-10,16%), da 20,1 miliardi a 18,1 miliardi; quelle delle famiglie sono scese di 1,3 miliardi (-12,54%), da 11,1 miliardi a 9,6 miliardi; quelle delle imprese familiari sono diminuite di 293 milioni (-11,76%), da 2,4 miliardi a 2,1 miliardi; in discesa anche quelle riferibili a pubblica amministrazione, fondi, assicurazioni e onlus, passate da 1,4 miliardi a 1,2 miliardi con una variazione negativa di 293 milioni (-16,84%).
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