Nell’ultimo trimestre i prestiti al settore privato sono calati di 12 miliardi di euro, dai 1.713 miliardi di febbraio ai 1.701 miliardi di maggio. A febbraio, su base annua, si era già registrata una contrazione dello 0,2% salita a meno 1,8%, sempre su 12 mesi, a maggio. I solo finanziamenti alle aziende sono calati di 7 miliardi in appena tre mesi. È quanto segnala il Centro studi di Unimpresa secondo cui la tendenza è di una profonda riduzione della liquidità fornita dalle banche all’economia reale, con tutte le conseguenze su produzione, investimenti, consumi, crescita economica e occupazione. “È così assurdo ipotizzare una pausa sull’aumento dei tassi da parte della Bce? Noi di Unimpresa continuai a illuderci e a sperare. Il prossimo 27 luglio la Banca centrale europea, salvo impronosticabili ripensamenti, dovrebbe portare il costo del denaro al 4,25%. Si tratterebbe del nono rialzo dei tassi nell’arco di appena 12 mesi. A luglio 2022 eravamo ancora a livello zero: una accelerazione più unica che rara e (forse) controproducente, certamente poco efficace. Tant’è che le decisioni della Bce vengono ormai prese di mira costantemente. Sono gli stessi governatori delle banche centrali dell’area euro a criticare pubblicamente l’Eurotower, non da ultimo Ignazio Visco che a novembre passerà il testimone in Banca d’Italia a Fabio Panetta” commenta il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara.
La Bce, osserva il Centro studi di Unimpresa, sta letteralmente togliendo il fiato alle imprese e alle famiglie: l’andamento degli impieghi nell’ultimo periodo rivela una situazione di credit crunch in atto, come segnalato recentemente dalla Banca d’Italia: a diminuzione del credito al settore privato non finanziario, in atto dallo scorso dicembre, è proseguita in maggio (-2,6%, sui tre mesi e in ragione d’anno). Si è accentuata la riduzione dei prestiti alle famiglie (-2,1%, da -0,2% in febbraio) ed è proseguito il calo del credito alle società non finanziarie (-4,2%, da -8,1% in febbraio). La flessione continua a riflettere il rialzo dei tassi di interesse e le minori necessità di finanziamento per investimenti; vi hanno contribuito anche i criteri di offerta divenuti più stringenti.
Secondo gli analisti di Unimpresa “il fatto che i criteri di offerta del credito da parte delle banche siano divenuti più stringenti merita particolare attenzione, perché racconta un cambio di passo strategico all’interno del settore bancario: se, da un lato, il costo del denaro più alto fa crescere il margine d’interesse, e quindi ricavi e utili, dall’altro lato, le concessioni di credito diventano, proprio a motivo dei maggiori tassi applicati alla clientela, più rischiose. Ne consegue che ottenere finanziamenti, anche a costi più pesanti, potrebbe talora risultare addirittura impossibile”. Il Centro studi di Unimpresa ritiene che “la lotta intestina alla Banca centrale europea sia plasticamente rappresentata dagli stessi protagonisti. Gli effetti della politica monetaria, di là dalle divisioni interne tra i decisori della zona euro, sono sotto gli occhi di tutti: se l’aumento del costo del denaro trae fondamento dalla necessità di contenere l’inflazione, con l’obiettivo di portarla al 2%, la realtà con cui si fanno i conti oggi racconta effetti collaterali non imprevedibili e decisamente pericolosi. L’aumento dei tassi d’interesse non solo comporta, sia per le imprese sia per le famiglie, un maggior costo per i “vecchi” debiti, ma riduce sensibilmente le prospettive per l’accesso al credito futuro”.
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