Tra il 2019 e il 2023, la crescita economica in Italia è stata pari a cinque volte quella della Germania e a più del doppio rispetto alla Francia. Se il pil italiano, infatti, è salito del 3,5% nei cinque anni in esame, quello tedesco è aumentato di appena lo 0,7% e quello francese dell’1,5%.
Le ragioni di questa dinamica, assai più importante rispetto a quelle delle altre due grandi economie europee, risiedono in tre fattori: gli aiuti pubblici, i tassi d’interesse bassi per la quasi totalità del quinquennio in esame, la ristrutturazione del tessuto produttivo.
Per tutte queste ragioni, nonostante l’economia italiana registri la minor crescita negli ultimi 25 anni, nell’area euro, con i redditi inferiori di un quarto proprio rispetto a Germania e Francia, e il reddito disponibile sai fermo ai livelli del 2000, il nostro Paese non è condannato alla stagnazione.
È quanto segnala il Centro studi di Unimpresa, dopo aver analizzato le considerazioni finali del governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta.
Secondo il Centro studi di Unimpresa, l’economia dell’area euro dà segnali di ottimismo laddove si consideri che la stagnazione persistente da fine 2022 sembra ormai aver lasciato spazio, in particolare dall’inizio dell’anno in corso, a segnali di ripresa incoraggianti.
In particolare, sono importanti sia l’aumento degli stipendi definiti nell’ambito dei rinnovi dei contratti collettivi nazionali di lavoro sia il consequenziale recupero del potere d’acquisto delle famiglie: il pil dell’area euro, infatti, potrebbe crescere dell’1,5% nel 2024.
«Di là dalle valutazioni sulle riforme e sulla finanza pubblica, tra i passaggi che meritano maggiore considerazione, nella relazione del governatore, segnalo due aspetti, solo apparentemente minoritari. Il primo riguarda il commercio internazionale: secondo Panetta, si è interrotto il processo di rapida integrazione dell’economia mondiale e di fatto, senza che nessuno lo dica apertamente, stiamo andando incontro alla deglobalizzazione. L’altro aspetto riguarda la produzione con le imprese, italiane ed europee in generale, che stanno riorganizzando i loro stabilimenti, riportando le fabbriche in Europa: se, da un lato, il meccanismo di reshoring rappresenta una opportunità di sviluppo interno, dall’altro occorre prestare attenzione al rischio di un ritorno al protezionismo» osserva il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara.
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