«La presidente Christine Lagarde ha detto che la Bce non è dipendente della Federal reserve, ma la sequenza cronologica delle decisioni della Banca centrale europea e di quella americana è ormai più che sospettosa. Stavolta, tra una delibera e l’altra sull’aumento del costo del denaro da una sponda all’altra dell’Oceano Atlantico sono passate 24 ore precise: 5,25% negli Stati Uniti d’America ieri, 3,75% nell’euro zona oggi. In tutti e due i casi un aumento di un quarto di punto percentuale. Va avanti così da quasi un anno e gli effetti sperati, ovvero una vistosa inversione di tendenza dell’inflazione, non si vede. Così, invece di ragionare su strategie alternative o quantomeno su una revisione, auspicata da più parti, della tabella di marcia della stretta monetaria, la Bce continua nella strampalata strategia del copia-incolla della Fed».
Lo dichiara il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora. «Quasi, quasi potremmo suggerire, con una buona dose di spirito di provocazione, di delegare in blocco le competenze di politica monetaria dell’eurozona, trasferendole da Francoforte a Washington. Strano che non ci abbiano ancora pensato i populisti, brandendo il saldo positivo dei minori costi e dei risparmi ottenuti sforbiciando le spese dei banchieri centrali europei» aggiunge Spadafora.
Secondo il vicepresidente di Unimpresa «la stretta monetaria sta già facendo rallentare il mercato dei finanziamenti delle banche alla clientela, sia famiglie sia imprese. L’impennata dei tassi d’interesse rende più costoso, talora proibitivo accedere ai finanziamenti offerti dagli istituti di credito, e questa situazione avrà un impatto negativo, a breve, sulla crescita del prodotto interno lordo. Basta pensare agli effetti devastanti sul mercato immobiliare, con i prezzi delle case in calo e le compravendite ferme, oppure al vistoso rallentamento degli investimenti da parte delle aziende, in particolare quelle di minore dimensione, che frenerà le prospettive di nuova occupazione».
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