Report del Centro studi dell’associazione. A Piazza Affari crolla l’ammontare complessivo del listino: meno 18% da 618 miliardi a 506 miliardi. Per le banche “danno” da 19 miliardi. Per i fondi esteri la “minusvalenza” è pari a 57 miliardi (-20%); le imprese hanno “bruciato” 16 miliardi (-12%), le famiglie hanno visto “sfumare” 11 miliardi (-15%). Il presidente Ferrara: «Fenomeno preoccupante, servono interventi per favorire l’allocazione dei risparmi, eliminando le disparità di trattamento fiscali tra titoli di Stato e investimenti in finanza»
Meno 111 miliardi di euro: è il saldo negativo del valore complessivo delle società italiane quotate in Borsa. Nonostante la ripresa economica e la congiuntura favorevole, Piazza Affari ha visto crollare l’ammontare complessivo del suo listino di oltre il 18% da 618 miliardi a 506 miliardi. Per le banche una perdita di valore pari a 19 miliardi (-15%)), per i soci privati (famiglie), saldo negativo di oltre 11 miliardi, mentre per i fondi esteri la “minusvalenza” è pari a 57 miliardi (-20%); le imprese hanno “bruciato” 16 miliardi (-12%), le famiglie hanno visto “sfumare” 11 miliardi (-15%). È quanto emerge da un report del Centro studi di Unimpresa, secondo il quale i fondi stranieri rappresentano sempre la maggioranza relativa del listino di Piazza Affari, ma in forte calo rispetto al periodo 2015-2019, durante il quale la percentuale aveva “scavallato” la soglia del 50%. «La solidità della piazza finanziaria italiana e il buon andamento dei corsi azionari sono fondamentali per accompagnare la crescita economica del nostro Paese. La nostra sensazione è che il mercato delle quotate si stia progressivamente impoverendo e questo fenomeno è preoccupante, rappresenta un campanello d’allarme, finora colpevolmente sottovalutato dai policy maker e dagli addetti ai lavori. A nostro giudizio, il governo deve favorire maggiori investimenti finanziari sia delle aziende sia delle famiglie, cominciando con interventi fiscali che cancellino le disparità di trattamento oggi esistenti tra gli investimenti in titoli di Stati, tassati al 12,5%, e le altre forme di risparmio, assoggettate a una aliquota del 26%. Occorre favorire una diversa allocazione dei risparmi degli italiani» commenta il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara.
Secondo il rapporto del Centro studi di Unimpresa, che ha elaborato dati della Banca d’Italia, le quote di spa quotate in mano agli azionisti sono precipitate di 111,8 miliardi (-18,08%). La perdita di valore ha interessato tutte le categorie di soci, con l’eccezione degli enti di previdenza, che hanno pacchetti azionari stabili a 543 milioni. Le partecipazioni delle imprese sono scese di 16,2 miliardi (-12,34%), da 131,3 miliardi del 2021 a 115,1 miliardi del 2022, quelle delle banche sono diminuite di 19,6 miliardi (-21,08%), quelle di assicurazioni e fondi pensione sono calate di 1,6 miliardi (-21,15%) da 7,9 miliardi a 6,2 miliardi, quelle dello Stato centrale sono diminuite di 4,3 miliardi (-16,67%) da 26,1 miliardi a 21,7 miliardi, quelle degli enti locali sono calate di 894 milioni (-26,61%) da 3,3 miliardi a 2,4 miliardi, quelle delle famiglie sono crollate di 11,7 miliardi (15,57%) da 75,2 miliardi a 63,5 miliardi, quelle degli azionisti stranieri di 57,3 miliardi (-20,42%) da 281,1 miliardi a 223,6 miliardi. L’andamento fortemente negativo del valore delle società quotate non ha portato a una rilevante modifica per quanto riguarda il quadro degli assetti proprietari complessivi. Le imprese avevano il 4,36% nel 2021 e il 4,11% nel 2022, le banche sono passate dal 15,05% al 14,49%, le assicurazioni e i fondi pensione dall’1,29% all’1,24%, lo Stato dal 4,21% al 4,29%, gli enti locali dallo 0,54% allo 0,49%, gli enti di previdenza dallo 0,09% allo 0,11%, le famiglie dal 12,17% al 12,54%, gli stranieri dal 45,43% al 44,13%. I fondi stranieri, dunque, rappresentano sempre la maggioranza relativa del listino di Piazza Affari, ma in forte calo rispetto al periodo 2015-2019, durante il quale la percentuale aveva “scavallato” la soglia del 50%.
Guardando all’intero universo delle società per azioni, si scopre che il 2022 ha portato a una riduzione complessiva del valore per 210,4 miliardi di euro (-6,99%), da 3.102,3 miliardi del 2021 a 2.801,8 miliardi. Le quote azionarie in mano alle imprese sono cresciute di 10,1 miliardi (+2,20%) da 458,9 miliardi a 469,1 miliardi; quelle delle banche sono calate, invece, di 83,3 miliardi (-20,35%) da 409,5 miliardi a 326,2 miliardi, quelle delle assicurazioni e dei fondi pensione sono scese di 5,8 miliardi (-8,27%) da 71,2 miliardi a 65,3 miliardi, quelle in mano allo Stato centrale sono invece leggermente salite di 119 milioni (+0,11%) da 112,6 miliardi a 112,7 miliardi, quelle degli enti locali sono lievemente cresciute di 34 milioni (+0,26%) restando attorno a quota 12,9 miliardi, quelle degli enti di previdenza sono salite di 1,2 miliardi (+19,32%) da 6,3 miliardi a 7,6 miliardi. Si registra un vero e proprio crollo, poi, sia per quanto riguarda le partecipazioni detenute dalle famiglie, scese di 88,1 miliardi (-6,77%) da 1.301,9 miliardi a 1.231,8 miliardi, sia per quanto riguarda le azioni rivenienti nei portafogli di investitori stranieri, calate di 44,6 miliardi (-6,99%) da 638,6 miliardi a 594,1 miliardi. L’andamento negativo del valore delle società per azioni non ha mutato significativamente il quadro degli assetti proprietari complessivi. Le imprese avevano il 15,24% nel 2021 e il 16,74% nel 2022, le banche sono passate dal 13,60% all’11,64%, le assicurazioni e i fondi pensione dal 2,37% al 2,33%, lo Stato dal 3,74% al 4,02%, gli enti locali dallo 0,43% allo 0,46%, gli enti di previdenza dallo 0,21% allo 0,27%, le famiglie dal 43,22% al 43,32%, gli stranieri stabili al 21,20%.
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