Piazza Affari perde il tricolore. Non si ferma l’avanzata degli investitori esteri in Italia, con più della metà delle aziende quotate stabilmente in mano agli stranieri. Anche se, complessivamente, il sistema imprenditoriale del nostro Paese è a trazione familiare, in borsa non comandano gli italiani. Oltre il 41% delle quote delle società per azioni made in Italy è posseduto da famiglie, mentre sui listini della borsa finanziaria dominano gli azionisti internazionali titolari di oltre il 51% delle spa quotate. In mano alle banche, l’8% delle società per azioni, quota che si avvicina al 10% se si limita l’analisi alle sole aziende quotate. Allo Stato, il 5,13% delle imprese e il 3,65% delle quotate. Questi i dati principali di un rapporto del Centro studi di Unimpresa, secondo il quale nella prima parte del 2017 le società per azioni hanno aumentato di 32 miliardi di euro il loro valore, mentre le “quotate” hanno visto crescere ddi 45 miliardi la loro capitalizzazione.
“E’ uno degli effetti della crisi: l’impoverimento dei nostri capitali ha favorito l’acquisto delle aziende da parte di colossi esteri. L’ingresso degli stranieri nel mercato finanziario italiano, che nonostante tutto ha valori importanti e in crescita, non è necessariamente un fattore negativo. Dipende, però, dalle intenzioni: se si tratta di investimenti di lungo periodo va bene, mentre se le operazioni sono dettate dalla speculazione, allora c’è da preoccuparsi” commenta il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara.
Lo studio dell’associazione è basato su dati della Banca d’Italia aggiornati al primo semestre 2017 e incrocia i dati relativi al valore di bilancio delle azioni – quotate e non – detenute da tutti i soggetti economici che operano nel nostro Paese: imprese, banche, assicurazioni e fondi pensione, Stato centrale, enti locali, enti di previdenza, famiglie, investitori stranieri. Secondo l’analisi, per quanto riguarda l’intero universo delle società per azioni del nostro Paese, la fetta maggiore è in mano alle famiglie: 41,68% rispetto al 43,13% del 2016. Nella speciale classifica, seguono gli stranieri col 24,38% (era il 23,73%), le imprese col 16,55% (era il 14,20%), le banche con l’8,34% (era l’11,14%) e lo Stato col 5,13% (era al 5,23%), le assicurazioni e i fondi pensione col 2,83% (era il 2,03%); quote minoritarie sono riconducibili alle amministrazioni locali (stabili allo 0,66%) e agli enti di previdenza (dallo 0,26% allo 0,44%).
Complessivamente, il valore delle società per azioni è cresciuto, dal primo semestre del 2016 al primo semestre del 2017, dell’1,65%, con una impennata di 32,8 miliardi, salendo dai 1.985,4 miliardi dello scorso anno ai 2.018,2 miliardi di quest’anno. Bilancio negativo per le famiglie, che hanno perso valore per 15.07 miliardi (-1,76%) da 856,2 miliardi a 841,1 miliardi, per le banche, che hanno perso valore per 52,7 miliardi (-23,87%) da 221,08 miliardi a 168,3 miliardi, per lo Stato centrale, che ha perso valore per 217 milioni (-0,21%) da 103,7 miliardi a 103,5 miliardi. Sorridono, invece, gli investitori stranieri, le cui quote sono salite di 28,08 miliardi (+6,05%) da 463,9 miliardi a 492,03 miliardi, le imprese, che hanno 51,9 miliardi in più (+18,43%) da 281 miliardi a 333,9 miliardi, le assicurazioni e i fondi pensione che registrano “plusvalenze” per 16,9 miliardi (+42,06%) da 40,7 miliardi a 57,1 miliardi. Variazione positiva anche per le quote delle amministrazioni locali, salite di 296 milioni (+2,27%) da 13,01 miliardi a 13,3 miliardi, e per quelle degli enti di previdenza, cresciute di 3,6 miliardi (+70,29%) da 5,1 miliardi a 8,7 miliardi.
Per quanto riguarda le società per azioni presenti a Piazza Affari, il valore complessivo è cresciuto di 45,6 miliardi (+9,70%), dai 470,02 miliardi del 2016 ai 515,6 miliardi del 2017. Il primato nell’azionariato spetta agli investitori esteri detentori del 51,27% delle quote, in aumento rispetto al 50,60% del 2016. Nella speciale classifica, seguono le imprese col 22,77% (era il 18,98%), le famiglie col 10,77% (era il 12,27%), le banche col 9,76% (era il 10,21%), lo Stato col 3,65% (era il 4,05%), le assicurazioni e i fondi pensione con l’1,03% (era il 3,21%); quote minoritarie sono riconducibili alle amministrazioni locali (dallo 0,59% allo 9,64%) e agli enti di previdenza (dallo 0,09% allo 0,11%). Gli azionisti esteri hanno “guadagnato” 26,5 miliardi (+11,15%) da 237,8 miliardi a 264,3 miliardi, le imprese hanno 28,2 miliardi in più (+31,62%) da 89,2 miliardi a 117,4 miliardi, mentre le famiglie hanno perso 2,1 miliardi (-3,67%) da 57,6 miliardi a 55,5 miliardi. Bilancio positivo, poi, per le banche con un aumento delle quote di spa quotate pari a 2,3 miliardi (+4,79%) da 48,01 miliardi a 50,3 miliardi; giù le quote di assicurazioni e fondi pensione di 9,7 miliardi (-64,89%) da 15,07 miliardi a 5,2 miliardi. Le quote in mano allo Stato centrale sono calate di 216 milioni (-1,14%); variazione positiva per quelle delle amministrazioni locali, salite di 508 milioni (+18,30%) da 2,7 miliardi a 3,2 miliardi, e per quelle degli enti di previdenza, salite di 180 milioni (+44,33%) da 406 milioni a 586 milioni.
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