Piazza Affari vale sempre meno ed è senza tricolore: non si ferma l’avanzata degli investitori esteri in Italia, con più della metà delle aziende quotate stabilmente in mano agli stranieri. Intanto, però, il totale del valore delle società quotate è crollato nell’ultimo anno di quasi 55 miliardi (-10%). Complessivamente, il sistema imprenditoriale del nostro Paese è a trazione familiare, ma in borsa non comandano gli italiani. Poco meno del 40% delle quote delle società per azioni made in Italy è posseduto da famiglie, mentre sui listini della borsa finanziaria dominano gli azionisti internazionali titolari di oltre il 51% delle spa quotate. In mano alle banche, il 10%% delle società per azioni, la stessa quota detenuta dagli istituti di credito se si limita l’analisi alle sole aziende quotate. Allo Stato, il 5% delle grandi imprese e il 4,5% delle quotate. Questi i dati principali di un rapporto del Centro studi di Unimpresa, secondo il quale nel primo semestre 2019 le società per azioni hanno visto diminuire di oltre 170 miliardi di euro il loro valore, mentre le “quotate” hanno visto calare di 54,9 miliardi la loro capitalizzazione.
“E’ uno degli effetti della crisi: l’impoverimento dei nostri capitali ha favorito l’acquisto delle aziende da parte di colossi esteri. L’ingresso degli stranieri nel mercato finanziario italiano, che nonostante tutto ha valori importanti e in crescita, non è necessariamente un fattore negativo. Dipende, però, dalle intenzioni: se si tratta di investimenti di lungo periodo va bene, mentre se le operazioni sono dettate dalla speculazione, allora c’è da preoccuparsi” commenta il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara.
Lo studio dell’associazione è basato su dati della Banca d’Italia aggiornati al primo semestre 2019 e incrocia i dati relativi al valore di bilancio delle azioni – quotate e non – detenute da tutti i soggetti economici che operano nel nostro Paese: imprese, banche, assicurazioni e fondi pensione, Stato centrale, enti locali, enti di previdenza, famiglie, investitori stranieri. Secondo l’analisi, per quanto riguarda l’intero universo delle società per azioni del nostro Paese, la fetta maggiore è in mano alle famiglie: in calo al 39,19% rispetto al 41,80% del 2018. Nella speciale classifica, seguono gli stranieri col 26,32% (era il 24,62%), le imprese col 17,20% (era il 17,17%), le banche con l’8,03% (era il 7,75%) e lo Stato col 5,00% (era al 4,51%), le assicurazioni e i fondi pensione col 2,72% (era il 2,84%); quote minoritarie sono riconducibili alle amministrazioni locali (stabili attorno allo 0,61%) e agli enti di previdenza (dallo 0,94% allo 0,71%).
Complessivamente, il valore delle società per azioni è crollato, dal primo semestre del 2018 al primo semestre del 2019, del 7,36%, con un calo di 170,4 miliardi, scendendo dai 2.317,7 miliardi dello scorso anno ai 2.147,2 miliardi di quest’anno. Bilancio negativo per le famiglie, che hanno perso valore per 127,3 miliardi (-13,15%) da 968,8 miliardi a 841,4 miliardi. Saldo in deficit (-6,5 miliardi con un calo dell’1,15%) anche per gli investitori esteri: avevano quote azionarie che valevano nel 2018 571,7 miliardi e ora valgono 565,1 miliardi. Male anche per altre altre categorie di azionisti: le banche, che hanno visto calare il valore delle loro partecipazioni di 7,2 miliardi (-4,05%) da 179,6 miliardi a 172,3 miliardi; le assicurazioni e i fondi pensione che registrano “minusvalenze” per 7,3 miliardi (-11,17%) da 65,7 miliardi a 58,4 miliardi. Variazione negativa anche per le quote delle imprese, che hanno 28,4 miliardi in meno (-7,15%) da 397,8 miliardi a 369,4 miliardi. “Bilancio” in attivo per le partecipazioni degli enti di previdenza, cresciute di 3,7 miliardi (+22,88%) da 16,3 miliardi a 20,1 miliardi, per quelle dello Stato centrale salite di 2,7 miliardi (+2,67%) da 104,6 miliardi a 107,4 miliardi, per quelle degli enti locali aumentate di 36 milioni (+0,28%) da 12,9 miliardi poco più di 13 miliardi.
Per quanto riguarda le società per azioni presenti a Piazza Affari, il valore complessivo è calato di 54,9 miliardi (-9,80%), dai 560,6 miliardi del 2018 ai 505,7 miliardi del 2019. Il primato nell’azionariato spetta agli investitori esteri detentori del 51,03% delle quote, in leggero calo aumento al 50,53% del 2018. Nella speciale classifica, seguono le imprese col 23,09% (era il 24,55%), le banche col 10,44% (era il 9,94%), le famiglie col 9,37% (era il 9,94%), lo Stato col 4,49% (era il 3,55%), le assicurazioni e i fondi pensione con lo 0,75% (era lo 0,71%); quote minoritarie sono riconducibili alle amministrazioni locali (0,70%) e agli enti di previdenza (0,12%).
Gli azionisti esteri hanno “perso” 25,2 miliardi (-8,90%) da 283,2 miliardi a 258,1 miliardi, le imprese hanno 20,8 miliardi in meno (-15,18%) da 137,6 miliardi a 116,7 miliardi, mentre le famiglie hanno perso 8,3 miliardi (-14,96%) da 55,7 miliardi a 47,4 miliardi. Bilancio negativo, poi, anche per le banche con un calo delle quote di spa quotate pari a 2,9 miliardi (-5,24%) da 55,7 miliardi a 52,8 miliardi. Giù le quote di assicurazioni e fondi pensione di 197 milioni (-4,92%) da 4,1 miliardi a 3,8 miliardi. Le quote in mano allo Stato centrale sono aumentate di 2,7 miliardi (+14,07%); variazione negativa, invece, per quelle delle amministrazioni locali, scese di 253 milioni (-6,67%) da 3,7 miliardi a 3,5 miliardi; positivo il saldo per le quote degli enti di previdenza, salite di 82 milioni (+14,94%) da 549 milioni a 631 milioni.
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