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CASO SALARI SOTTO 5 EURO, SERVE CONFRONTO AL CNEL

«Non si può risolvere tout court, con una legge, il delicato tema del salario minimo in Italia. Certamente resta un problema per quei contratti nazionali che stabiliscono ancora un salario minimo orario decisamente scandaloso spesso al di sotto dei 5 euro l’ora. Nasce allora, ancor più forte, la necessità di un confronto ad ampio respiro e allargato a tutte le organizzazioni sindacali e datoriali anche se non presenti al Cnel. Un confronto scevro da orgogli di parte e che metta in primo piano non la rappresentatività ma la qualità dei contratti sottoscritti da chiunque. Contratti qualitativi, controllati e certificati, questa si è la strada maestra da perseguire».

Lo sostiene il consigliere nazionale di Unimpresa, Marco Pepe, commentando le conclusioni dell’avvocato generale della Corte di Giustizia dell’Unione europea, presentate il 15 gennaio, in relazione alla causa C-19/23 avviata dalla Danimarca e sostenuta dalla Svezia, per richiedere l’annullamento della Direttiva UE 2022/2041 sui salari minimi adeguati. «Con quelle conclusioni, viene proposto alla Corte di accogliere il ricorso dichiarando nulla la direttiva per eccesso di competenze da parte dell’Unione Europea. L’Avvocato generale ha evidenziato tre punti critici nell’adozione della direttiva, richiamando l’articolo 153, paragrafo 5, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue), che esclude esplicitamente le retribuzioni dalle competenze dell’Unione. L’articolo 153, paragrafo 5, riguarda tutti gli aspetti delle retribuzioni, inclusa la fissazione di salari minimi, non solo l’armonizzazione retributiva. In sostanza, l’Unione Europea non ha alcuna competenza a intervenire in materia retributiva, nemmeno per stabilire requisiti minimi, poiché ciò costituirebbe un’ingerenza nelle prerogative nazionali. Se la Corte di Giustizia seguirà le conclusioni dell’Avvocato generale, come accade nella maggior parte dei casi, la direttiva sarà annullata. Ciò significherebbe che gli Stati membri non sarebbero più vincolati agli obblighi previsti dal testo normativo. Questa prospettiva potrebbe avere ripercussioni significative, specie in quei Paesi che hanno già adottato disposizioni basate sulla direttiva o che stavano pianificando modifiche normative in tale direzione» osserva Pepe.

STRUTTURA RETRIBUZIONE IN ITALIA NON SI BASA SU TARIFFA ORARIA

Secondo il consigliere nazionale di Unimpresa «la struttura della retribuzione in Italia non è pensata in funzione di una “tariffa oraria” diversamente da altri Paesi europei, ma da diversi valori che hanno lo scopo di valorizzare la produttività, la flessibilità organizzativa, il welfare contrattuale e la bilateralità. La “struttura” del livello retributivo italiano non è espressa e declinata solo dai minimi contrattuali per livelli di inquadramento, ma è caratterizzata da numerose voci variabili che contribuiscono a rendere assai disomogeneo il panorama salariale e che devono necessariamente essere considerate nell’ottica dell’introduzione del salario minimo legale: ciò perché deve essere esplicitato cosa ricomprendere in un eventuale valore fisso determinato per legge. Si pensi alle mensilità aggiuntive, ossia tredicesima e quattordicesima, al trattamento di fine rapporto (tfr), alle ferie, ai permessi retribuiti, a tutta la retribuzione variabile di tipo premiale, ma anche alla contribuzione previdenziale e alla tassazione la quale, dipendendo dal reddito complessivo, è soggettivamente variabile».

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