Alcuni personaggi che parlano di economia cercano di dimostrare con numeri e grafici fenomeni riguardanti la produzione, i consumi, i mercati, la finanza, la distribuzione della ricchezza prodotta ecc., senza tenere conto dei diritti e dei veri bisogni degli esseri umani.
Per teorizzare i fenomeni economici non si può prescindere dalle persone che determinano questi fenomeni, per cui non sono sufficienti i soli “ragionieri e matematici”, ma è indispensabile l’apporto di studiosi di diverse discipline: umanisti, sociologi, psicologi, teologi, filosofi, scienziati, tecnici, ambientalisti, giuristi, ecc. Questo perché l’economia deve essere in funzione del bene delle persone e non può essere basata su teorie astratte prive di etica e di morale.
Il progresso scientifico e tecnologico degli ultimi decenni ha favorito in molti Paesi uno sviluppo economico basato sul consumismo, sul superfluo e sullo spreco a scapito dei bisogni fondamentali e dei diritti universali degli esseri umani. Ciò ha provocato gravi squilibri e causato le ingiustizie che sono sotto gli occhi di tutti: i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.
Per uscire da questa situazione e scongiurare gravi rischi è necessario intervenire per impedire che “gli adoratori del dio denaro”, dalle stanze dei bottoni, manovrino le leve della “finanza pazza” accumulando ricchezze e privilegi a danno della maggioranza della gente onesta.
In diverse parti del mondo aumentano i focolai di rivolta contro le ingiustizie compiute dai prepotenti di turno.
Anche in Italia l’indignazione comincia a preoccupare, mentre qualcuno “soffia sul fuoco” di chi vuole ricorrere ai “forconi”.
La disoccupazione giovanile ha superato il 30% (al Sud anche di più), per cui i giovani migliori e più preparati emigrano verso Paesi dove vengono accolti ed apprezzati. Se in Italia si coinvolgesse in attività produttive un consistente numero di disoccupati si potrebbe uscire prima dall’attuale crisi. Invece molte grandi aziende (anche a partecipazione statale) continuano a trasferire capitali e attività all’estero contribuendo, in tal modo, alla diminuzione del lavoro in casa nostra.
Le piccole e medie imprese che costituiscono la spina dorsale dell’economia del nostro Paese sono impastoiate dalle norme burocratiche e non riescono più a svolgere neanche la tradizionale funzione di “nave scuola” attraverso l’apprendistato, poiché gli adempimenti per far lavorare un apprendista sono tanti, mentre gli incentivi previsti sono incerti e tardano ad arrivare.
Si potrebbe approfittare dell’attuale crisi per aprire le porte delle aziende non solo per la formazione e l’apprendistato ma anche per associare i migliori elementi alla gestione e agli utili delle imprese (che lo desiderano e ne hanno la possibilità), realizzando, così, nel nostro Paese una maggiore coesione e sicurezza sociale.
Siccome la Speranza è l’ultima ad abbandonarci ci auguriamo che l’attuale “Governo Tecnico“ rimetta in moto l’economia e non si limiti ai soli “pannicelli caldi”, come il controllo sul rilascio dello scontrino (anche se è importante) da parte dei commercianti, ma vada a cercare il denaro da chi ne ha “rubato” tanto (e ne continua a rubare) appellandosi alla “libertà di mercato e di iniziativa” anche quando questa libertà offende la dignità dei lavoratori.
L’Italia ha un’ottima Costituzione: bisogna applicare tutti gli articoli e non solo quelli che fanno comodo alle grandi società e a qualche organizzazione sindacale.
Che fine hanno fatto gli art. 3 (l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese), l’art. 4 (La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro), l’art. 46 (il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende) e tanti altri articoli sul diritto al lavoro? E dov’è andato a finire l’art.40?
A volte sembra che l’Italia più che essere una “Repubblica Democratica fondata sul lavoro” sia fondata sullo “sciopero”, se è vero, come è vero, che negli ultimi cinque decenni i lavoratori hanno perso oltre 600.000.000 (seicentomilioni) di ore di lavoro per richiamare l’attenzione dei governanti sui loro Diritti e sulle ingiustizie subite.
A quando la Democrazia anche in economia e nelle aziende, analogamente a quanto avviene nelle imprese di tipo partecipativo e cooperativo in ogni parte del mondo?
Bruno Latella, presidente onorario Unimpresa
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