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Concordato preventivo e prescrizione.

di Ciro Coticelli, Avvocato

Il diavolo è nei dettagli, si dice. Di certo è tra le pieghe della legge Fallimentare e nella sua interpretazione.

Con il presente contributo si intende porre l’attenzione sul seguente principio (troppo spesso dimenticato): “Il concordato preventivo mediante cessione dei beni ai creditori comporta il trasferimento agli organi della procedura non della proprietà dei beni, ma dei soli poteri di gestione finalizzati alla liquidazione. Ne consegue che l’art. 2941, n. 6, c.c., non è applicabile estensivamente ai rapporti tra debitore e creditori del concordato preventivo in questione, poichè la titolarità dell’amministrazione dei beni ceduti spetta esclusivamente al liquidatore, il quale la esercita non in nome o per conto dei creditori concordatari, ma nel rispetto delle direttive impartite dal tribunale, secondo l’art. 182 l.fall., nel testo vigente “ratione temporis” (anteriore alle modifiche di cui al d.lgs. n. 169 del 2007)” (Cass. civ., sez I, 26.2.2019, n.5663).

Le conseguenze pratiche di tale principio sono di notevole portata. Non far proprio tale insegnamento può costare ai creditori la perdita del proprio diritto di credito.

Il diritto vivente è, infatti, fermo nel ritenere che il debitore ammesso al concordato preventivo subisca uno “spossessamento attenuato”, in quanto conserva, oltre alla proprietà, l’amministrazione e la disponibilità dei propri beni, salve le limitazioni connesse alla natura stessa della procedura, la quale impone che ogni atto sia comunque funzionale all’esecuzione del concordato.

Dunque la procedura di concordato preventivo mediante cessione dei beni ai creditori comporta il trasferimento agli organi della procedura non della proprietà dei beni, nè dell’amministrazione ordinaria e della disponibilità dei medesimi, ma solo dei poteri di gestione finalizzati alla liquidazione.

Manca perciò il presupposto individuato dalla norma per la sospensione, in quanto i poteri di gestione di pertinenza del liquidatore non sono generali, ma finalizzati alla liquidazione dei beni oggetto della cessio bonorum, risultano tesi alla cura degli interessi dei creditori (come pure del debitore) ma sono svincolati dalla volontà dei soggetti interessati e rimessi invece alle determinazioni del Tribunale.

Chiara è la differenza con l’istituto fallimentare. La sentenza dichiarativa priva il fallito dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni (L. Fall., art. 42) e apre il concorso dei creditori sul suo patrimonio (L. Fall., art. 52), nella seconda con la sentenza di omologa il debitore riacquista la piena disponibilità del proprio patrimonio e della gestione dell’impresa, se ancora attiva, seppur con le limitazioni previste dal disposto della L. Fall., art. 182, in caso di cessione di beni ai creditori.

In altri termini il fallito, privato dei suoi beni, subisce l’esecuzione collettiva che il fallimento implica, mentre l’imprenditore in concordato, in bonis pur se soggetto allo spossessamento attenuato correlato all’omologa della domanda, rimane titolare delle proprie posizioni giuridiche.

Conseguenza è che, come ricordato dalla recente Corte di Appello di Catanzaro n. 309/2020, “L’interruzione della prescrizione nel concordato preventivo, infatti, non può che operare nei confronti del debitore – il quale subisce un c.d. “spossessamento attenuato” e non anche nei confronti del liquidatore, il quale, non potendo disporre del diritto controverso, non avrebbe potuto riconoscere l’altrui credito, nè essere legittimato a ricevere efficacemente atti interruttivi della prescrizione provenienti dal creditore.

E’ dunque evidente che le lettere inviate dal liquidatore del concordato preventivo e quelle a costui inviate dal creditore non implicano riconoscimento del credito e non hanno efficacia interruttiva della prescrizione, in quanto rivolte ad un soggetto diverso dal debitore e privo della relativa legittimazione.”

Guai, insomma, per il creditore che, all’ombra della procedura concordataria, aspetti la liquidazione di quanto di spettanza.

La mancata interruzione dei termini nei confronti del debitore (e non del liquidatore!), infatti, può comportare la prescrizione del proprio diritto di credito.

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