Il successo dei bot e dei btp costerà caro, complice l’elevato costo del denaro, alle casse dello Stato: dal 2023 al 2027, gli interessi che il Tesoro dovrà riconoscere ai sottoscrittori di titoli di Stato aumenteranno di quasi 25 miliardi di euro con una crescita che sfiorerà il 32% da 78 miliardi a 103 miliardi. La curva dell’andamento della spesa per interessi sul servizio del debito cresce costantemente e ancor più vertiginosa è l’aumento di questa voce del bilancio pubblico rispetto al pil: dal 3,8% del 2023 al 4,4% del 2027. È quanto emerge da un documento del Centro studi di Unimpresa, secondo cui il costo del rinnovamento del debito pubblico salirà del 7,8% quest’anno, del 4,6% nel 2025, del 7,7% nel 2026 e dell’8,4% nel 2027. Nell’arco del quadriennio la spesa per remunerare i sottoscrittori delle obbligazioni emesse dal Tesoro salirà di 24,9 miliardi con un incremento del 31,7%. «Quello che abbiamo sotto gli occhi è l’ennesimo effetto indesiderato della scellerata politica monetaria dettata dalla Banca centrale europea: con 10 rialzi in appena 14 mesi e il tasso base portato dallo zero al 4,5%, anche gli interessi obbligazionari sono cresciuti, troppo» spiega il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora. «Per questa ragione, il taglio dei tassi da parte della Bce non è solo indispensabile, ma solo urgente. Molti osservatori hanno indicato la riunione di giugno come quella per l’avvio di un ritorno a una politica monetaria più espansiva. Ieri il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, equilibrato e lungimirante, ha detto che l’incertezza sui tagli potrebbe cagionare l’inizio di una nuova fase recessiva. Mi auguro che la linea di Panetta sia prevalente, ma qualche dubbio è legittimo, considerando quali sono gli equilibri all’interno del board della Banca centrale europea. E temo pure che la frenata, sulla riduzione del costo del denaro, da parte della Federal reserve americana possa condizionare per l’ennesima volta le decisioni prese sull’altra sponda dell’Atlantico» commenta Spadafora.
Secondo il Centro studi di Unimpresa, che ha analizzato dati dell’ultimo Documento di economia e finanza, nel 2023 la spesa per interessi sul servizio del debito si è attestata a 78,6 miliardi di euro, pari al 3,8% del prodotto interno lordo. L’anno in corso dovrebbe terminare, in assenza di correttivi e di tassi d’interesse in discesa, a quota 84,7 miliardi – in aumento di 6,1 miliardi rispetto ai 12 mesi precedenti (+7,8%) – pari al 3,9% del pil; nel 2025, altro aumento di 3,8 miliardi su base annua (+4,6%) e quota del pil in salta al 4,0%; nel 2026 si salirà ancora di altri 6,8 miliardi (+7,7%) fino a 95,5 miliardi, cifra che corrisponderà al 4,1% del pil; si sfonderà il muro dei 100 miliardi (per l’esattezza 103,5 miliardi, pari al 4,4% del pil) nel 2027, anno in cui è previsto un incremento di 8 miliardi (+8.4%). Complessivamente, tra il 2023 e il 2027 si registrerà un aumento degli oneri finanziari su bot e btp pari a 24,9 miliardi pari a un incremento del 31,7%.
Gli interessi, comunque, resteranno in buona parte nei nostri confini: ciò perché il debito italiano nei portafogli degli investitori esteri è calato da 685 miliardi del 2021 ai 658 miliardi del 2023, con la quota scesa da 30,7% al 27,3%. Parallelamente, è aumentata la quota di obbligazioni statali in mano ai privati, sia famiglie sia imprese. Negli ultimi due anni, infatti, la fetta di bot e btp detenuta dai piccoli risparmiatori e dalle aziende è più che raddoppiata e nel corso del 2023 si è assistito a una vistosa accelerazione: a dicembre 2021, con il debito che aveva toccato i 2.572 miliardi, il mercato retail aveva il 6,4% delle obbligazioni emesse dal Tesoro in circolazione, vale a dire 142 miliardi su 2.234 miliardi complessivi di titoli e 2.678 miliardi di debito totale. A fine 2022, con il debito che aveva toccato i 2.757 miliardi, un primo scatto: la percentuale di titoli statali in mano alle famiglie era salita all’8,7% (199 miliardi su 2.280 miliardi di titoli). Lo scorso anno, tra Btp Italia e Btp Valore, la corsa delle famiglie e delle imprese a comprare debito pubblico si è fatta più insistente: a novembre (ultimo dato disponibile, quando il debito era arrivato a 2.855 miliardi), i privati avevano il 13,5% di bot e btp, cioè 320 miliardi sui 2.378 miliardi totali di emissioni statali.
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