di Paolo Lecce
Anche se la legge prevede che un dipendente in malattia (che non abbia superato il periodo di comporto contrattualmente previsto) ha il diritto di conservare il proprio posto di lavoro, esistono casi in cui per l’Azienda è lecito licenziare ed uno di questi è la falsa malattia. Spesso i lavoratori si “mettono” in malattia, consapevoli delle fasce di reperibilità durante le quali bisogna farsi trovare in casa per un eventuale controllo del medico legale che attesti la veridicità della malattia; le fasce differiscono tra settore privato e quello pubblico: infatti i lavoratori Privati devono essere reperibili nelle fasce dalle 10,00 alle 12,00 e dalle 17,00 alle 19,00 mentre quelli Pubblici, invece devono essere reperibili nelle fasce dalle 9,00 alle 13,00 e dalle 15,00 alle 18,00. Molti di questi “malati” utilizzano le ore esterne alle fasce di reperibilità per andare in palestra, fare shopping o semplicemente svolgere altri lavori non regolari. Spesso, in quest’ultimo caso, i dipendenti svolgono privatamente la stessa attività per la quale sono assunti, ma per altri enti.
In caso di dubbi da parte del datore di lavoro, una investigazione finalizzata all’acquisizione delle prove che il dipendente si sia allontanato per una falsa malattia, permette al datore di lavoro di licenziare il lavoratore per giusta causa.
La simulazione della malattia o finta malattia, determina infatti un inadempimento del lavoratore talmente grave da non consentire, anche in via provvisoria, la prosecuzione del rapporto di lavoro. Anche se a determinare lo stato di malattia ci sia l’attestato del certificato medico, la falsa malattia, simulata o inesistente del dipendente resta causa di licenziamento.
Secondo la sentenza della Cassazione (sez. lav. n. 17113/2016), non importa tanto l’attestazione fatta dal medico, che può essere ingannato da una attenta simulazione del paziente, quanto la risoluzione del rapporto di lavoro nei confronti di chi si sia procurato un certificato falso che dichiara una patologia non esistente; tale inganno è causa di licenziamento più che legittima, in quanto lede il rapporto di fiducia con il datore di lavoro.
Da questo va da solo che il certificato medico non basta ad attestare la malattia del lavoratore se ci sono elementi che provano lo stato di buona salute e infatti quest’ultimo non deveno essere necessariamente basati su accertamenti sanitari contrari a quelli forniti dal malato immaginario nostro dipendente, ma possono basarsi anche solo su prove dell’Investigatore Privato che può testimoniare l’osservazione della cattiva condotta del dipendente, il quale, invece di stare a casa riguardato perché influenzato o infortunato, viene visto andare in bicicletta o semplicemente in palestra.
Il datore di lavoro che ricorre all’investigatore privato per dimostrare l’illecito comportamento del dipendente, attraverso una investigazione finalizzata all’acquisizione di prove della simulazione malattia o “finta malattia”, non sa che i costi sostenuti per l’attività in caso di risultato positivo possono essere addebitati, nel licenziamento di giusta causa, al dipendente.
Volendo fare un esempio: se nell’attività investigativa emerge che il dipendente di una azienda di climatizzazione, durante la malattia, si reca autonomamente ad istallare un climatizzatore, con l’acquisizione di queste prove oltre alla simulazione di malattia o “finta malattia”, fanno emergere il conflitto di interesse, e pertanto i costi sostenuti per l’attività in caso di vittoria possono essere addebitati, nel licenziamento di giusta causa, al dipendente.
Per i costi del conflitto di interessi, spesso con questa ulteriore aggravante il datore di lavoro può trattenersi il TFR come parziale recupero del danno.
- INVESTIGAZIONI SU EREDI, COSA C’È DA SAPERE. - 28 Febbraio 2023
- La Benedizione Apostolica. - 21 Febbraio 2023
- LA GIUSTIZIA ITALIANA: I CONSIGLI GIUSTI PER VINCERE UNA CAUSA - 13 Febbraio 2023