X

Coronavirus: Unimpresa, banche siano molla ripresa con liquidità senza precedenti

Mario Draghi

«Le banche devono diventare la molla della ripresa e non devono assolutamente trasformarsi nell’anello debole della catena, come accadde a partire dal 2008, dopo la bolla dei subprime e il fallimento della Lehman Brothers. Per assicurare agli istituti di credito questo ruolo centrale e strategico – che deve tradursi in iniezioni di denaro senza precedenti nella cosiddetta economia reale, dunque soprattutto per le famiglie e le piccole, medie imprese – occorre creare un articolato sistema di grandi garanzie pubbliche». È quanto scrive il presidente onorario di Unimpresa, Paolo Longobardi, in un documento dal titolo “Draghi e il futuro dell’Italia” nel quale commenta i suggerimenti dell’ex presidente della Bce pubblicati mercoledì sul Financial Times. Secondo Longobardi servono «risorse statali da decine di miliardi di euro, che si riveleranno cruciali per difendere la capacità produttiva del nostro sistema economico, così come quello di altri paesi». A giudizio del presidente onorario di Unimpresa, «siamo entrati, nell’arco di pochissime settimane, in un tunnel che ci sta portando, anestetizzati dalla quarantena domiciliare, in una crisi che, con ogni probabilità, sarà assai più dura di quella del 1929. Ne consegue che c’è una sola, possibile via d’uscita: la gigantesca perdita di reddito privato andrà inevitabilmente assorbita dai bilanci statali. Tuttavia, chi ha la responsabilità della spesa pubblica a parole parla di «economia di guerra», nei fatti, però, si comporta come il solito tagliatore di bilanci, ossessionato dai principi di Maastricht. Serve, invece, una svolta epocale e la sospensione del Patto di stabilità Ue annunciata la scorsa settimana è un primo segnale nella direzione corretta». Nel documento, Longobardi osserva che «siamo a un passo da un rischio incalcolabile, derivante dalla probabile (e non auspicabile) esplosione di una bomba sociale: è una minaccia che va disinnescata a ogni costo. Evitare tensioni sociali – non improbabili, visti i posti di lavoro che andranno persi – deve essere una priorità per l’Italia.  Il governo, dunque, deve liberarsi di chi stringe o vorrebbe imporre di stringere i cordoni della borsa: le vecchie ricette economiche, del resto, ormai non valgono più». 

Draghi e il futuro dell’Italia.

Intervento del Presidente Onorario di Unimpresa Paolo Longobardi

Mentre in Italia discutiamo di interventi da (appena) 25 miliardi di euro, che potrebbero salire fino a 50 miliardi con un nuovo decreto d’urgenza che il governo ha promesso nei giorni scorsi, la Germania ha già messo sul tavolo un pacchetto di interventi da 550 miliardi. Per il nostro Paese ci sono da superare, ancora una volta, le ottusità e le resistenze dell’Unione Europea, ma anche qualche non indifferente ostacolo interno, di natura culturale, burocratica e di insipienza politica. Nonostante l’emergenza, c’è chi, incredibilmente, litiga su quale strada imboccare per evitare che l’economia tricolore esca tramortita da questa crisi, cagionata dal Coronavirus, e non si riprenda più.

La traiettoria corretta è stata indicata nitidamente Oltreoceano. Piaccia o no, le soluzioni migliori vengono (quasi) sempre suggerite dagli Stati Uniti. Così, mentre a Roma si polemizza quotidianamente e si cerca di prendere le distanze dalle cancellerie europee, il presidente americano, Donald Trump, squaderna un piano da 2.000 miliardi di dollari. Tanto per avere un’idea delle proporzioni, l’ex inquilino della Casabianca, Barack Obama, appena eletto, nel 2008, in piena bufera finanziaria, scatenò una potenza di fuoco finanziaria da 787 miliardi di dollari. Il pacchetto di Trump è, quindi, la manovra economica più imponente della storia americana. Insomma, a Washington avranno pure percepito in ritardo, rispetto ad altre aree del globo, ciò che si stava per scatenare con l’epidemia da Covid-19, ma non è mancata la solerzia quando si è trattato di adottare le contromisure economico-finanziarie. E non interessa se per ragioni elettorali o meno, anche perché, sulle misure convergono sia i repubblicani sia i democratici. È scolpito sui libri di storia, peraltro, che proprio sulla costa a stelle e strisce dell’Atlantico prese forma l’Occidente nel secondo Dopoguerra.

E visto che molti (non tutti) i governi del Vecchio Continente faticano a reagire con la necessaria prontezza, è stato costretto a intervenire Mario Draghi per spiegare, con nettezza e semplicità allo stesso tempo, quale strada va percorsa, senza lasciare spazio ad alternative. Una sola possibilità, per tutti. In un lungo intervento pubblicato nella edizione online del Financial Times mercoledì 25 marzo, l’ex presidente della Banca Centrale Europea ha suggerito la rotta, che – a nostro avviso – deve sì valere per tutta l’Europa e l’area euro in particolare, ma deve essere, soprattutto, una bussola per il governo italiano.

Il piano di Draghi, comprese le premesse, può essere sintetizzato in dieci stringatissimi punti: (1) siamo in guerra e dobbiamo dare risposte adeguate; (2) la pandemia Covid-19 è una tragedia umana di proporzioni potenzialmente bibliche; (3) una profonda recessione è inevitabile; (4) serve un aumento significativo del debito pubblico; (5) è essenziale proteggere le persone dalla perdita del lavoro; (6) bisogna evitare una recessione prolungata; (7) l’Europa è attrezzata, ma occorre un rapido cambio di mentalità; (8) tutti i paesi mobilitino subito l’intero sistema finanziario; (9) serve un sostegno di liquidità immediato; (10) le banche devono poter prestare a costo zero.

Quello delle banche è il punto nevralgico del progetto delineato con cura dall’ex presidente della BCE. A nostro giudizio, infatti, gli istituti di credito – a livello globale – devono diventare la molla della ripresa e non devono assolutamente trasformarsi nell’anello debole della catena, come accadde a partire dal 2008, dopo la bolla dei subprime e il fallimento della Lehman Brothers. Per assicurare agli istituti di credito questo ruolo centrale e strategico – che deve tradursi in iniezioni di denaro senza precedenti nella cosiddetta economia reale, dunque soprattutto per le famiglie e le piccole, medie imprese – occorre creare un articolato sistema di grandi garanzie pubbliche. Qui entrano in ballo risorse statali da decine di miliardi di euro, che si riveleranno cruciali per difendere la capacità produttiva del nostro sistema economico, così come quello di altri paesi.

Per essere più chiari: siamo entrati, nell’arco di pochissime settimane, in un tunnel che ci sta portando, anestetizzati dalla quarantena domiciliare, in una crisi che, con ogni probabilità, sarà assai più dura di quella del 1929. Ne consegue che c’è una sola, possibile via d’uscita: la gigantesca perdita di reddito privato andrà inevitabilmente assorbita dai bilanci statali. Tuttavia, chi ha la responsabilità della spesa pubblica a parole parla di «economia di guerra», nei fatti, però, si comporta come il solito tagliatore di bilanci, ossessionato dai principi di Maastricht. Serve, invece, una svolta epocale e la sospensione del Patto di stabilita UE annunciata la scorsa settimana è un primo segnale nella direzione corretta.

Ciò che probabilmente è stato sottovalutato – tanto dagli osservatori quanto dai policy maker – è che siamo a un passo da un rischio incalcolabile, derivante dalla probabile (e non auspicabile) esplosione di una bomba sociale: è una minaccia che va disinnescata a ogni costo. Evitare tensioni sociali – non improbabili, visti i posti di lavoro che andranno persi – deve essere una priorità per l’Italia. Fuori dei nostri confini, invece, dove stanno emergendo clamorosamente i vecchi egoismi tra i principali fondatori dell’Unione Europea, ci troviamo di fronte a gente che ha la testa girata al contrario.

Il governo, dunque, deve liberarsi di chi stringe o vorrebbe imporre di stringere i cordoni della borsa: le vecchie ricette economiche, del resto, ormai non valgono più. Tuttavia, se non si ha il coraggio di compiere azioni decisive, allora è più corretto cedere il posto a qualcun altro. Magari quel posto potrebbe essere lasciato a chi, parlando (anche) agli italiani dalle pagine di un autorevole quotidiano finanziario internazionale, ha fatto vedere di avere le idee chiare e, in passato, ha dimostrato la capacità di saper assumere le scelte più opportune anche in momenti drammatici.Roma, 27 marzo 2020

Paolo Longobardi

Presidente onorario di Unimpresa

seguici:
Related Post