Commercio e turismo penalizzati, pesano il 12% del prodotto interno lordo italiano: ogni anno giro d’affari di 198 miliardi di negozi, bar, ristoranti, centri commerciali, parrucchieri e centri estetici, palestre, piscine, alberghi e residence, strutture ricreative, cinema, teatri, concessionari automobilistici. Il vicepresidente Spadafora: «Non ci sono soldi pubblici per tutti, servono decisioni equilibrate. Le pmi vanno tutelate e le famiglie aiutate»
Ogni giorno di lockdown per il Covid può rappresentare, in Italia, un serio rischio per almeno mezzo miliardi di euro di prodotto interno lordo, solo se consideriamo i settori del commercio e del turismo. Questi due comparti dell’economia italiana, infatti, pesano per circa il 12% su un totale, stimato dal governo per il 2020, di oltre 1.600 miliardi di pil. In altri termini: circa 3,5 miliardi a settimana e oltre 15 miliardi al mese. Si tratta, tra l’altro. di negozi, bar, ristoranti, centri commerciali, parrucchieri e centri estetici, palestre, piscine, alberghi e residence, strutture ricreative, cinema, teatri, grande distribuzione, concessionari automobilisti, ambiti nei quali sono maggiormente attive le piccole e medie imprese.
È quanto calcolato dal Centro studi di Unimpresa, secondo cui il commercio e il turismo, i settori maggiormente penalizzati da chiusure e misure restrittive, valgono, per quest’anno, quasi 198 miliardi di euro sull’intero prodotto interno lordo nazionale, che, nelle stime della Nota di aggiornamento di economia e finanza, dovrebbe attestarsi, a fine anno, a 1.647,2 miliardi.
«I danni collaterali di una nuova chiusura generalizzata possono essere peggiori, sia sul piano della salute (perché molte malattie non vengono curate né diagnosticate) sia sul versante economico (perché non ci sono sufficienti soldi pubblici per ristorare chi perde incasso e fatturato), di quelli che cagionati direttamente dalla pandemia. Non ci sono soldi pubblici per tutti, inutile girarci intorno: le decisioni del governo devono essere improntate al massimo equilibrio: le pmi vanno tutelate e le famiglie aiutate. Resta un bel po’ di amarezza. Ad agosto, quando c’erano primi segnali di ritorno del Coronavirus, tutti hanno lasciato correre, sia per consenso generale sia perché si votava in alcune regioni chiave per l’attuale maggioranza parlamentare. Adesso, invece, non sanno cosa fare e improvvisano. Tutto questo dopo aver sprecato sei mesi per migliorare tracciamento, trasporto pubblico locale e edilizia scolastica-universitaria» commenta il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora.
Secondo il Centro studi di Unimpresa, il commercio e il turismo sono i settori destinati a pagare il prezzo più alto di un eventuale lockdown o, comunque, di altre misure restrittive. Questi due settori valgono circa il 12% del pil del Paese: vuol dire che si tratta di circa 197,6 miliardi sul totale del prodotto interno lordo 2020, calcolato dal governo con l’ultima Nadef, in 1.647,2 miliardi. La media giornaliera, senza distinguere tra giorni feriali e festivi, è di 541,5 milioni di euro: è questo, in sostanza, il giro d’affari giornaliero di negozi, bar, ristoranti, centri commerciali, parrucchieri e centri estetici, grande distribuzione, palestre, piscine, alberghi e residence, strutture ricreative, cinema, teatri, concessionari automobilistici, solo per indicare i comparti più noti ai cittadini, dove operano principalmente le piccole e medie imprese.
Per il vicepresidente di Unimpresa «adesso serve fermezza e giudizio: non potendo nemmeno immaginare un eventuale lockdown, bisogna tutelare le categorie più a rischio per questa malattia e, quindi, lasciare in casa i più anziani, gli immunodepressi, coloro che hanno già altre importanti patologie. Poi, occorre mantenere obbligatorio l’utilizzo di dispositivi individuali di protezione e limitare gli assembramenti, ma oltre non è possibile andare: non possiamo permettercelo».
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