Analisi del Centro studi: perdite potenziali in calo del 20% tra il 2019 e il 2020, ma comunque maggiori rispetto agli aiuti in arrivo nel nostro Paese dall’Unione europea. Il vicepresidente Spadafora: «È la vittoria dell’azzardo morale della finanza sull’economia reale»
Il “buco” potenziale dei derivati finanziari in Italia è pari a 250 miliardi di euro ed è più grande dei 191 miliardi che il nostro Paese si appresta a chiedere all’Unione europea con il Recovery Fund. Nonostante la riduzione, tra il 2019 e il 2020, pari a quasi il 20% del totale, la massa di derivati presenti sui bilanci di Stato centrale, enti locali, banche, imprese e famiglie è ancora assai rilevante: una voragine di 250,1 miliardi complessivi capace di ingoiare l’intero pacchetto di fondi che il governo di Mario Draghi si appresta a ottenere dall’Ue nell’ambito del piano Next Generation. Ammontano a 181 miliardi le perdite potenziali presenti sui bilanci delle banche, a quasi 15 miliardi quelle delle imprese, mentre per la pubblica amministrazione il pericolo derivati vale circa 32 miliardi. Questi i dati principali di una analisi del Centro studi di Unimpresa, secondo cui a fine 2019 i derivati valevano, in totale, 309 miliardi e, dopo 12 mesi, si sono ridotti di 59 miliardi, con un calo del 19%. «Si parla tanto, forse troppo, spesso certamente a sproposito di sostenibilità e poi ti accorgi, leggendo i dati in controluce, che l’azzardo morale della finanza la fa sempre da padrone rispetto all’economia reale. E allora viene da chiedersi dove sia la responsabilità sociale, tanto nelle grandi aziende quanto nelle grandi banche, se oggi il nostro Paese, si trova, durante una fase drammatica causata da un’imprevedibile emergenza sanitaria, a dover fare i conti con un quadro finanziario pericolosissimo» commenta il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora. «Le operazioni in derivati vengono realizzate per coprire le attività finanziarie, sia quelle del settore pubblico sia quelle del settore privato, da scenari avversi e da rischi, ma il quadro è fuori controllo e nessuno alza la mano per fermare questo gioco potenzialmente dannosi per la collettività» aggiunge Spadafora.
Secondo l’analisi del Centro studi dell’associazione, basato su dati della Banca d’Italia, l’ammontare complessivo delle perdite potenziali derivati finanziari in Italia è passato dai 309,3 miliardi del 2019 ai 250,1 miliardi del 2020, con una contrazione di 59,3 miliardi (-19,19%). I dati si riferiscono alle passività sui bilanci, vale a dire le operazioni potenzialmente in perdita. Si osserva una convergenza di massima tra il settore pubblico e quello privato, con la sola eccezione delle imprese. Per quanto riguarda la pubblica amministrazione, i derivati in perdita sono calati di 8,6 miliardi (-21,28%) da 40,5 miliardi a 31,9 miliardi: sono diminuiti sia i derivati dello Stato centrale, passati da 31,2 miliardi a 28,3 miliardi con una discesa di 8,4 miliardi (-21,62%), sia i derivati degli enti locali, passati da 1,1 miliardi a 924 milioni in calo di 141 milioni (-10,96%).
Per quanto riguarda i privati, si è invece registrata una diminuzione complessiva di 50,7 miliardi (-18,87%) da 242,2 miliardi a 197,4 miliardi. I derivati in perdita presenti sui bilanci delle aziende, dato in controtendenza rispetto all’andamento generale, sono aumentati di 2,9 miliardi (+21,94%) da 12,8 miliardi a 14,7 miliardi, quelli delle banche sono arretrati di 53,5 miliardi (-21,09%) da 214,2 miliardi a 181,2 miliardi, quelli delle assicurazioni sono calati di 105 milioni (-6,94%) da 671 milioni a 598 milioni. In discesa anche la piccola quota di derivati “in mano” alle famiglie che sui loro bilanci hanno perdite potenziali per 68 milioni in calo di 1 milione (-1,45%) rispetto ai 69 milioni di un anno fa.
«L’Italia, più di altri paesi europei, cammina sul crinale del baratro: la nostra economia ha pagato più di tutti in Europa i danni cagionati dal Covid e adesso, mentre ci accingiamo a ripartire, anche se lontani dall’uscita del tunnel, scopriamo di avere una zavorra pesantissima, una minaccia inattesa che può pregiudicare il piano di ripresa e resilienza a cui sta lavorando il governo» osserva il vicepresidente di Unimpresa.
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