Sempre meno soldi all’economia reale e più sostegno allo Stato. Negli ultimi dodici mesi il ritmo dei finanziamenti delle banche ha visto un drastico calo degli impieghi nei confronti delle famiglie e delle imprese: tra settembre 2011 e agosto scorso, lo stock di crediti ad aziende e cittadini è calato, rispettivamente, del 3,6% (-32,7 miliardi) e dello 0,4% (-2 miliardi. Percentuale che passa al 2,02% (-18 miliardi) e all’1,15% (-5,8 miliardi) se si guarda all’andamento del solo 2012. In controtendenza, invece, l’andamento dei finanziamenti alla pubblica amministrazione centrale (+6,06% su base annua e +5,2% nel 2012), che sono aumentai di 10,5 miliardi negli ultimi dodici mesi, 9 dei quali concessi tra gennaio e agosto scorso. Questi alcuni dei risultati di uno studio flash del Centro studi Unimpresa “Un anno di credit crunch”.
In totale gli impieghi delle banche sono scesi da 2.186 miliardi di settembre 2011 a 2.141 miliardi di agosto 2012, che vuol dire 44 miliardi in meno di finanziamenti, pari a una riduzione del 2,05%. Viaggia a doppia velocità il ritmo dei prestiti agli enti locali, cioè principalmente comuni, province, regioni (-1,89% su base annua e +0,51% nel 2012): vale a dire che su base annua c’è un calo di 1,5 miliardi poi in parte recuperati con un incremento degli impieghi pari a 417 milioni nel corso del 2012. Secondo le rilevazioni, effettuate sui dati della Banca d’Italia, poi, anche le “imprese familiari” risultano penalizzate allo sportello: i prestiti concessi dagli istituti sono calati del 2,89% su base annua e del 2,44% nell’arco del 2012. Evidente credit crunch anche per i prestiti fra banche e istituzioni finanziarie: -4,03% su base annua (-16,2 miliardi) e -5,05% nel 2012 (-20,6 miliardi).
«Il comportamento delle banche – spiega il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi – è pericoloso e dannoso: hanno comprato a mani basse denaro a tassi stracciati, l’1%, dalla Banca centrale europea e, invece di impiegarlo sul mercato per la crescita economica, lo hanno investito nei btp con interessi anche oltre il 5%, assicurandosi un guadagno secco e a portata di mano di circa quattro punti percentuali». «Così non si aiuta la ripresa, ma si fa letteralmente affondare il Paese» continua. Non solo. «Il rischio – dice ancora Longobardi – è quello di distruggere un tessuto fitto di filiere su cui si poggia anche la media e grande impresa. Senza contare che si stanno mettendo a repentaglio centinaia di migliaia di posti di lavoro che, una volta persi, deprimeranno ancora di più i consumi interni». «Di un dato si è certi: chi sopravvivrà alla mattanza praticata dagli istituti di credito -sottolinea Longobardi- uscirà dal 2012 ancor più stremato». Secondo il presidente di Unimpresa, inoltre, «non poche responsabilità vanno individuate nelle autorità di vigilanza e pure nell’attuale Governo guidato dal professor Mario Monti che con il mondo bancario è stato assai generoso e dal quale avrebbe dovuto e potuto ottenere ampie garanzie per il rilancio dell’economia attraverso i flussi finanziari alle imprese».
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