Vale 10 miliardi di euro l’anno il “giro d’affari” del racket che grava sulle imprese italiane. La quota più ampia è a carico dei commercianti costretti a pagare alla criminalità organizzata un pizzo pari a 6,5 miliardi (il 65%). Sono oltre 200mila i negozianti e gli artigiani colpiti dall’estorsione. Questi alcuni dei dati contenuti nella seconda edizione del libro “I costi dell’illegalità e la lotta alla criminalità organizzata” appena pubblicato da Unimpresa, presentato oggi a Roma, all’Auditorium della Conciliazione, durante il convegno “Legalità dove sei?” a cui ha partecipato il Procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti.
Altro capitolo drammatico è l’usura con i tassi dei prestiti erogati dagli “strozzini” che cambiano di regione in regione. In Puglia, a esempio, i clan hanno raggiunto il 240% di tassi annui; in Calabria, nel vibonese, i clan hanno un tariffario pari al 257%, nel cosentino e nella Locride si scende a 200%. Nelle metropoli si registra il record: a Roma, con tassi anche vicino al 1.500%, che scendono però a 400% a Firenze e a 150% a Milano. I tassi sono altalenanti anche nelle province. I clan nel nord-est padovano chiedono fino al 180% annuo, nel modenese tra il 120 e il 150%, mentre ad Aprilia, nel basso Lazio, si è raggiunta la cifra di 1.075% di tasso annuo. Cifre che parlano di un ammontare spropositato di soldi e di un giro di affari talmente enorme che è impossibile quantificarlo con esattezza.
“L’estorsione – ha detto Luigi Scipione, autore del libro, professore universitario e membro del Comitato di presidenza di Unimpresa – al di là dei suoi ritorni in termini economici, è l’attività criminale che più di ogni altra induce assoggettamento e conferma la posizione di supremazia sul territorio dell’associazione”. Secondo Scipione “l’atto del pagamento del pizzo (praticamente un gesto automatico) da parte di quasi tutti gli operatori economici presenti su di un dato territorio, rappresenta nel modo più plastico la posizione di diffusa ed indiscussa soggezione verso la criminalità organizzata da parte della società civile e del tessuto economico che esprime. Assoggettamento, posizione di supremazia, controllo del territorio, rappresentano l’essenza del potere criminale. E questo, a sua volta, è la premessa, il formidabile fluidificante che consente, poi, alla organizza zione di fare ed imporre sempre nuovi affari, di entrare sul mercato imprenditoriale e conquistarlo (e, su altro versante, di entrare in quello politico ed assumere un ruolo di primo piano). Sebbene rimanga invariato il numero dei commercianti e piccoli imprenditori taglieggiati non possiamo non notare una contrazione del numero delle attività legali e una crescita di quelle di proprietà mafiosa”. Per quanto riguarda l’usura, Scpione osserva che “la sensazione più diffusa e raccapricciante è che esistano settori in cui l’usura si va facendo sempre più sofisticata ed indipendente anche rispetto alla criminalità organizzata, in particolare il settore professionistico e, a certi livelli, lo stesso settore bancario”.
Ad avvicendarsi al tavolo dei relatori, nel corso del convegno, sono stati Giuseppe De Lucia Lumeno, segretario dell’Associazione nazionale fra le banche popolari, Paolo Longobardi, presidente di Unimpresa, Giuseppe Pignatone, Procuratore della Repubblica di Roma, Gaspare Sturzo, magistrato e presidente del Centro studi internazionale studi Sturzo. Il dibattito è stato moderato da Gennaro Sangiuliano, vice direttore del Tg1 Rai.
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