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Crisi. Longobardi, boom aziende in mano alla criminalità organizzata

«Con la crisi finanziaria e la recessione sta crescendo in maniera drammatica, giorno dopo giorno, il numero delle imprese italiane attratte nel circuito dell’economia illegale: la recessione agevola la cosiddetta Mafia spa e non solo nel Mezzogiorno. La criminalità organizzata ogni anno ha il “problema” di riciclare 150 miliardi di euro di denaro sporco e ha individuato nelle pmi l’anello debole per infiltrarsi nel tessuto economico del Paese». Così il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi, commenta i dati emersi oggi al convegno organizzato dalla Banca d’Italia e dal Consiglio superiore della magistratura. Secondo il presidente di Unimpresa, «i problemi principali delle aziende vanno individuati nei ritardi di pagamento da parte della pubblica amministrazione e nella restrizione del credito delle banche». I settori più a rischio, spiega Longobardi, «sono l’edilizia, la logistica, il turism o, il commercio all’ingrosso e quello al dettaglio. È sotto gli occhi di tutti che la crisi economica stia accentuando il rischio di infiltrazioni criminali nell’economia, indebolendo il controllo sociale e la capacità sia delle imprese sia delle istituzioni di respingere le penetrazioni malavitose».
Secondo Longobardi «la crescita delle sofferenze bancarie, salite a 150 miliardi di euro a novembre 2013, è la manifestazione più evidente dello stato di dissesto delle imprese italiane. La cronica mancanza di liquidità e la prolungata fase di crisi economica che stiamo vivendo, sono tra le cause più importanti che hanno fatto esplodere l’insolvibilità. Da una parte, quindi, l’imprenditore che non trova i soldi, dall’altra la Mafia che li ha e deve rimetterli in circolo: così “l’incontro” delle due esigenze si conclude a tutto vantaggio del crimine organizzato».
«L’aspetto che deve allarmare è che in questi ultimi anni – osserva il presidente di Unimpresa – si sta assistendo proprio a un incremento del riciclaggio di denaro illecito all’interno delle attività imprenditoriali ovvero al ricorso sempre più frequente degli imprenditori strozzati dai debiti ai “finanziamenti” dei mafiosi. Questo avviene dopo i prestiti negati dai canali bancari. E accade al Nord come al Sud, senza distinzione. I mafiosi diventano per gli imprenditori le nuove banche».

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