Un 2013 nero per le aziende italiane: 5 su 6 temono di fallire entro la fine dell’anno. Sono diversi i motivi che mettono in ansia gli imprenditori del nostro Paese: problemi con le banche per la concessione di credito, ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione, mancati incassi da clienti privati, difficoltà nel rispettare scadenze e adempimenti fiscali, impossibilità di pianificare investimenti, scarsa flessibilità nel gestire l’occupazione. Questi i risultati di un rapporto del Centro studi Unimpresa che ha realizzato un sondaggio a campione fra le 130.000 associate attraverso le 60 sedi nazionali, dopo le elezioni politiche del 25-26 febbraio scorso.
Il sondaggio mette in luce che nei prossimi 10 mesi potrebbe registrarsi un’impennata di dissesti finanziari, stati di crisi o addirittura fallimenti. Una previsione drammatica che viene registrata nell’83,6% delle risposte ai questionari. La recessione economica più dura del previsto e l’assenza di prospettive di ripresa rendono il quadro ancora più cupo, stando alle indicazioni fornite dalle aziende. Il sondaggio è stato condotto dopo la recente tornata elettorale: quadro parlamentare frammentato e sostanziale instabilità politica, vista l’assenza di una maggioranza netta sia alla Camera al Senato che per ora non rende agevole la formazione di un Governo, vengono ritenuti elementi di ulteriore preoccupazione.
I motivi: credito, fisco, pagamenti pa, mancati incassi, investimenti, lavoro. Le imprese indicano alcuni motivi precisi come fattori negativi. In cima alla “classifica” c’è la questione credito: i problemi con le banche sono di due tipi. Anzitutto l’inasprimento delle condizioni per la concessione di nuovi finanziamenti; poi viene segnalato l’aumento delle richieste di rientro, anche fra le imprese con bilanci in regola. Di fatto molti istituti bancari chiudono improvvisamente linee di credito, scoperti di conto corrente e affidamenti anche ad aziende “sane”‘, facendole finire su un terreno scivoloso.
Dito puntato, poi, contro le tasse: la pressione fiscale (imposte e contributi), che per le imprese supera il tetto del 50%, è il quarto elemento destabilizzante: scadenze e adempimenti tributari sono difficilissimi da rispettare.
Il terzo fattore allarmante è il ritardo dei pagamenti della pubblica amministrazione. Anzitutto per lo stock da 90-100 miliardi che non viene sbloccato da amministrazioni centrali e locali, come recentemente denunciato dalle banche, a causa dello stallo nel meccanismo di certificazione dei crediti vantati dalle imprese. Non solo: le nuove direttive europee adottate recentemente in Italia – che dovrebbero imporre alla Pa di saldare le fatture entro 60 giorni – trovano scarsissima applicazione.
Ritardi dei pagamenti sono evidenziati anche nei rapporti fra privati che si traducono – quarto fattore – in un colpo tremendo alla circolazione di liquidità e nella crescita delle insolvenze.
La quinta fonte di apprensione è lo stop agli investimenti che, allo stesso tempo, rappresenta un fattore e una conseguenza della crisi economica. Per le imprese italiane la pianificazione degli investimenti sia sul versante dell’innovazione sia su quello della manutenzione ordinaria di stabilimenti, fabbriche, capannoni, esercizi commerciali, infrastruttura tecnologica.
Il sesto e ultimo elemento critico è l’ingessamento del mercato dell’occupazione. Le nuove regole varate lo scorso anno dal Governo tecnico non hanno migliorato la situazione e non hanno risposto alla esigenza di maggiore flessibilità chiesta dai datori di lavoro.
Il presidente Longobardi: “Un Governo subito per dare risposte concrete”. “È evidente – spiega il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi – che la situazione è da allarme rosso: noi auspichiamo la formazione di un Governo in tempi rapidissimi. Bisogna superare pregiudizi e contrapposizioni, serve responsabilità. Abbiamo anche caldeggiato la creazione di una grande alleanza fra i due principali schieramenti come soluzione per assicurare al Paese una guida stabile: servono risposte concrete sia per le imprese sia per le famiglie, il cui livello di esasperazione cresce ora dopo ora. Non stiamo camminando verso un burrone, ma stiamo già arrivati sul precipizio e non camminiamo più: zoppichiamo”.
Ufficio Stampa Unimpresa
a cura di Ago Press
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