«Con la crisi finanziaria e la recessione sta crescendo in maniera drammatica, giorno dopo giorno, il numero delle imprese italiane attratte nel circuito dell’economia illegale: la recessione agevola la cosiddetta Mafia spa e non solo nel Mezzogiorno».
Questo l’allarme lanciato da Unimpresa in uno studio – in via di pubblicazione – sulle aziende e la criminalità organizzata che ogni anno «ha il “problema” di riciclare 150 miliardi di euro di denaro sporco e ha individuato nelle pmi l’anello debole per infiltrarsi nel tessuto economico del Paese». Secondo lo studio di Unipresa, i problemi principali vanno individuati nei ritardi di pagamento da parte della pubblica amministrazione e nella restrizione del credito delle banche.
I settori più a rischio «sono l’edilizia, la logistica, il turismo, il commercio all’ingrosso e quello al dettaglio” spiega Luigi Scipione del Centro studi Unimpresa che ha fatto un’indagine approfondita anche tra le 130mila micro, piccole e medie imprese associate e sparse su tutto il territorio nazionale. «È sotto gli occhi di tutti – si legge nella ricerca – che la crisi economica stia accentuando il rischio di infiltrazioni criminali nell’economia, indebolendo il controllo sociale e la capacità sia delle imprese sia delle istituzioni di respingere le penetrazioni malavitose».
Nello studio vengono analizzati alcuni dati su fallimenti e impieghi bancari: «Mentre cresce il numero di aziende che finiscono in bancarotta, 10% in più in un anno, crescono a marzo le sofferenze nette delle banche italiane che hanno toccato quota 35,5 miliardi di euro, 12 miliardi in più rispetto allo stesso mese dello scorso anno (+50,4%). La crescita delle sofferenze bancarie è la manifestazione più evidente dello stato di dissesto delle imprese italiane. La cronica mancanza di liquidità e la prolungata fase di crisi economica che stiamo vivendo, sono tra le cause più importanti che hanno fatto esplodere l’insolvibilità».
Da una parte, quindi, l’imprenditore che non trova i soldi, dall’altra la Mafia che li ha e deve rimetterli in circolo: così “l’incontro” delle due esigenze si conclude a tutto vantaggio del crimine organizzato. «L’aspetto che deve allarmare è che in questi ultimi anni – osserva il Centro studi Unimpresa – si sta assistendo proprio a un incremento del riciclaggio di denaro illecito all’interno delle attività imprenditoriali ovvero al ricorso sempre più frequente degli imprenditori strozzati dai debiti ai “finanziamenti” dei mafiosi. Questo avviene dopo i prestiti negati dai canali bancari. E accade al Nord come al Sud, senza distinzione. I mafiosi diventano per gli imprenditori le nuove banche».
«In questo periodo di crisi economica – spiega Scipione – a rafforzare il potere della “Mafia spa”, intesa come impresa, purtroppo vi è un sistema bancario inadeguato. Deve essere rimodulato e rivisto urgentemente tutto il sistema creditizio alle piccole e medie imprese per agevolarle sia negli investimenti che nel consolidamento delle proprie attività. Solo così sarà possibile sottrarle all’aggressione economica delle organizzazioni mafiose». Secondo Unimpresa «la crisi sta esacerbando le difficoltà finanziarie delle imprese e genera “anomia” nella misura in cui le imprese tendono a trovare una sorta di giustificazione morale alla decisione di operare nel sommerso o di ricorrere a fonti illecite di finanziamento quali unici strumenti possibili per la sopravvivenza dell’impresa stessa».
Non solo. In tempi di mancanza cronica di credito bancario «vince chi dispone di liquidità, di moneta pronta e sonante. Liquidità che manca agli Stati e che manca alle banche, liquidità che invece la criminalità organizzata possiede in grandi quantità. La crisi allora diventa un’opportunità per Cosa nostra, Camorra e ’Ndrangheta. Le organizzazioni criminali si trovano nella posizione avvantaggiata di chi può prestare soldi in un momento in cui nessuno lo fa, e quindi nella condizione di poter ricattare imprese anche di dimensione rilevante».
Le mafie stanno aggredendo e stritolando le aziende in difficoltà. Per l’imprenditore che non ha disponibilità economiche, il mafioso che gli concede il prestito o gli acquista le quote societarie, diventa la “boccata d’ossigeno” che gli permette apparentemente di sopravvivere alle dure leggi del mercato. «E invece l’imprenditore non si rende conto che è in quel momento che sta iniziando il vero fallimento con una prima lunga fase di svuotamento e poi stritolamento delle sue attività» dice Scipione. «Il progressivo allentamento del rispetto della legge – si legge ancora nel rapporto – sicuramente si nutre di fenomeni di illegalità debole come l’evasione fiscale e contributiva, spesso diffuse proprio nei settori di penetrazione delle cosche, che rendono necessaria anche a imprenditori inizialmente lontani da ogni contatto con le cosche la ricerca di strumenti di riciclaggio dei proventi in nero, l’adozione di forme di contabilità opache. Tutti terreni di incontro e di contiguità che facilitano il contatto, che rendono ricattabili».
a cura del Servizio Ufficio Stampa Ago Press
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