Cresce di quasi mezzo milione il numero degli italiani che non ce la fa. Complessivamente, adesso superano quota 9 milioni le persone in difficoltà in Italia: ai “semplici” disoccupati vanno aggiunte ampie fasce di lavoratori, ma con condizioni precarie o economicamente deboli che estendono la platea degli italiani in crisi. Un enorme “area di disagio”: ai 3 milioni di persone disoccupate, bisogna sommare anzitutto i contratti di lavoro a tempo determinato, sia quelli part time (677mila persone) sia quelli a orario pieno (1,74 milioni); vanno poi considerati i lavoratori autonomi part time (813mila), i collaboratori (375mila) e i contratti a tempo indeterminato part time (2,5 milioni). Questo gruppo di persone occupate – ma con prospettive incerte circa la stabilità dell’impiego o con retribuzioni contenute – ammonta complessivamente a 6,2 milioni di unità. Il totale del’area di disagio sociale, calcolata dal Centro studi di Unimpresa sulla base dei dati Istat, oggi comprende dunque 9,21 milioni di persone.
Il deterioramento del mercato del lavoro non ha come conseguenza la sola espulsione degli occupati, ma anche la mancata stabilizzazione dei lavoratori precari e il crescere dei contratti atipici. Di qui l’estendersi del bacino dei “deboli”. Il dato sui 9,21 milioni di persone è relativo al terzo trimestre del 2014 e complessivamente risulta in aumento del 5,3% rispetto al terzo trimestre del 2013, quando l’asticella si era fermata a 8,74 milioni di unità: in un anno quindi 466mila persone sono entrate nell’area di disagio sociale.
Nel terzo trimestre dello scorso anno i disoccupati erano in totale 2,84 milioni: 1,48 milioni di ex occupati, 596mila ex inattivi e 763mila in cerca di prima occupazione. A settembre 2014 i disoccupati risultano in aumento del 5,8% rispetto all’anno precedente (+166mila persone). In calo gli inattivi: -19mila unità (-3,2%) da 596mila a 577mila. In aumento di 51mila unità gli ex occupati da 1,48 milioni a 1,53 milioni (+3,4%). Salgono anche le persone in cerca di prima occupazione, in aumento di 134mila unità da 763mila a 897mila (+17,6%).
In forte aumento anche il dato degli occupati in difficoltà: erano 5,9 milioni a settembre 2013 e sono risultati 6,2 milioni a settembre scorso. Una crescita dell’area di difficoltà che rappresenta un’ulteriore spia della grave situazione in cui versa l’economia italiana: anche le forme meno stabili di impiego e quelle retribuite meno pagano il conto della recessione, complice anche uno spostamento delle persone dalla fascia degli occupati deboli a quella dei disoccupati. I contratti a temine part time sono aumentati di 60mila unità da 617mila a 677mila (+9,7%), i contratti a termine full time sono cresciuti di 92mila unità da 1,65 milioni a 1,74 milioni (+5,6%). Salgono anche i contratti di collaborazione (+18mila unità) da 357mila a 375mila (+5,0%). Risultano in aumento anche i contratti a tempo indeterminato part time (+4,.%) da 2,49 milioni a 2,59 milioni (+99mila) e gli autonomi part time (+4,0%) da 782mila a 813mila (+31mila).
“Il Governo di Matteo Renzi non ha preso le auspicate decisioni importanti: servivano misure che consentissero a imprese e famiglie di avere risorse per guardare con fiducia al futuro e invece con la legge di stabilità sono arrivate pochi fondi e mal distribuiti. Offriamo all’Esecutivo, ai partiti e alle istituzioni, i numeri e gli argomenti su cui ragionare per capire quanto sono profonde la crisi e la recessione nel nostro Paese: il 2014 è stato durissimo e non possiamo permetterci un altro anno senza ripresa” commenta il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi. “Può apparire anomalo – aggiunge Longobardi – che un’associazione di imprese analizzi il fenomeno dell’occupazione, quasi dal lato del lavoratore. Ma per noi la persona e la famiglia sono centrali da sempre, perché riteniamo che siano il cuore dell’impresa. Bisogna poi considerare che l’enorme disagio sociale che abbiamo fotografato ha conseguenze enormi nel ciclo economico: più di 9 milioni di persone sono in difficoltà e questo vuol dire che spenderanno meno, tireranno la cinghia per cercare di arrivare a fine mese. Tutto ciò con effetti negativi sui consumi, quindi sulla produzione e sui conti delle imprese”. Secondo il presidente di Unimpresa “serve maggiore attenzione proprio alla famiglia da parte del Governo”.
Ufficio Stampa Unimpresa
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