Gli italiani non spendono più e lasciano in banca quasi 57 miliardi di euro in più in un solo anno. La recessione e i timori per nuovi scossoni della crisi finanziaria evidentemente frenano i consumi e le uscite: a marzo 2013 sono arrivati a quota 854,3 miliardi di euro i “salvadanai” delle famiglie in aumento di 56,9 miliardi rispetto ai 797,4 di marzo 2012 con una crescita del 7,14%. Lo rileva un’analisi del Centro studi Unimpresa.
Complessivamente i depositi bancari sono cresciuti, tra marzo 2012 e marzo 2013, del 9,01% passando da 1.362,6 miliardi a 1.485,3 miliardi (+122,7 miliardi). Nel dettaglio, si registra un aumento per tutte le categorie di depositanti: sono saliti, infatti, anche i depositi delle aziende (+8,31%) passando da 176,7 miliardi a 191,4 miliardi (+14,6 miliardi) e quelli delle imprese familiari, passati da 44,2 miliardi a 44,5 miliardi (+0,75%) grazie a un “risparmio” di 333 milioni. Atteggiamento prudente anche per le organizzazioni non lucrative senza fini di lucro (onlus): i loro depositi risultano in crescita di 1 miliardo e sono arrivati a 22,3 (+4,71%) miliardi rispetto ai 21,3 dell’anno precedente. Aumentano del 24,99% i depositi di assicurazioni e fondi pensione, saliti da 20 miliardi a 25 miliardi (+5 miliardi). Pure le banche e gli intermediari finanziari sembrano preferire i depositi che risultano in crescita del 14,79% da 302,8 miliardi a 347,6 miliardi (+44,7 miliardi), un nuovo segnale della scarsa circolazione della liquidità che non viene immessa nel mercato del credito.
Quanto all’analisi per “strumento”, sono i depositi vincolati a breve scadenza ad aver registrato la crescita più alta tra marzo 2012 e marzo 2013: da 124 miliardi a 164,8 miliardi (+32,89%) con un amento di 40.7 miliardi. Per i pronti contro termine è stata rilevato un aumento di 30,3 miliardi da 110 miliardi a 140,3 miliardi (+27,5%). Lo stock di denaro lasciato nel conto corrente è salito di 26,6 miliardi da 702,1 a 728,8 miliardi (+3,79%).
“E’ evidente che gli italiani, in particolare le famiglie, subiscono pesantemente i contraccolpi della crisi e la stanno pagando soprattutto in termini di crollo della fiducia. E’ proprio la paura di nuovi scossoni e l’incertezza sul futuro a frenare la spesa e quindi i consumi” osserva il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi. “Per questo motivo siamo convinti che sia indispensabile scongiurare il previsto aumento dell’Iva dal 21 al 22%. Un nuovo inasprimento dell’imposta sul valore aggiunto – spiega Longobardi – rappresenterebbe la mazzata finale sui consumi. Ciò non tanto per l’aumento dei prezzi causato dall’aumento fiscale, quanto dalla sensazione ormai diffusa fra la gente che non c’è più limite al prelievo da parte dello Stato”. Secondo il presidente di Unimpresa “serve un segnale forte e questo segnale deve arrivare proprio dallo stop all’Iva magari accompagnato dall’impegno a riportare l’aliquota al 20% al più presto. Come abbiamo già osservato, il giro di vite Iva ha già provocato un calo del gettito e la riduzione delle entrate potrebbe aumentare ancora. Allo Stato non conviene alzare troppo l’asticella del fisco”.
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a cura di Ago Press
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