Sondaggio fra le 122mila associate. Quasi 100mila imprese non hanno fiducia e non vedono stabilità negli indicatori positivi. Si teme una nuova impennata di dissesti finanziari, stadi di crisi e procedure concorsuali. Tra i problemi principali: impossibilità di pagare le tasse, stretta del credito e ritardo dei pagamenti della pubblica amministrazione
Per 4 pmi su 5 la ripresa dell’economia italiana è fragile. I segnali positivi che vengono rilevati da alcuni indicatori non consentono alle aziende italiane di guardare con fiducia al futuro e la prospettive di rilancio non sono stabili. Per l’81% delle micro, piccole e medie imprese del Paese anche il 2015 resta pieno di ombre. Sono diversi i motivi che mettono in ansia gli imprenditori del nostro Paese: problemi con le banche per la concessione di credito, difficoltà nel rispettare scadenze e adempimenti fiscali, ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione, mancati incassi da clienti privati, impossibilità di pianificare investimenti. Un mix di fattori che fa prevedere un secondo semestre 2015 assai complesso per l’economia italiana con le prospettive di ripresa stabile e crescita del prodotto interno lordo ridotte al lumicino.
Questo l’esito di un sondaggio realizzato dl Centro studi di Unimpresa. Secondo i risultati della “consultazione”, dunque, nei prossimi mesi non è esclusa una nuova tornata di dissesti finanziari, stati di crisi o addirittura fallimenti e altre procedure concorsuali. Una previsione decisamente cupa che viene registrata nell’81,4% delle risposte ai questionari. La recessione economica più dura del previsto registrata negli scorsi anni e l’assenza di prospettive stabili di rilancio rendono il quadro ancora cupo, stando alle indicazioni fornite dalle aziende. Il sondaggio è stato condotto fra le 122mila aziende associate sulla base dei risultati del primo semestre 2015: quadro incerto, dunque, per oltre 99mila imprese.
I motivi: credito, fisco, pagamenti pa, mancati incassi, investimenti
Le imprese indicano alcuni motivi precisi come fattori negativi. In cima alla “classifica” c’è la questione credito: i problemi con le banche sono di due tipi. Anzitutto l’inasprimento delle condizioni per la concessione di nuovi finanziamenti; poi viene segnalato l’aumento delle richieste di rientro, anche fra le imprese con bilanci in regola. Di fatto molti istituti bancari chiudono improvvisamente linee di credito, scoperti di conto corrente e affidamenti anche ad aziende “sane”‘, facendole finire su un terreno scivoloso. Nell’ultimo anno la stretta al credito per le imprese è stata pari a 20 miliardi di euro.
Dito puntato, poi, contro le tasse: la pressione fiscale (imposte e contributi), che per le imprese è vicina alla soglia del 70%, è il secondo elemento destabilizzante: scadenze e adempimenti tributari sono difficilissimi da rispettare.
Il terzo fattore allarmante è il ritardo dei pagamenti da parte di Stato centrale ed enti locali. Anzitutto per lo stock da 90-100 miliardi di debiti della pubblica amministrazione che solo in parte è stato rimborsato e che non viene sbloccato da amministrazioni centrali e locali principalmente a causa dello stallo nel meccanismo di certificazione dei crediti vantati dalle imprese. Non solo: le nuove direttive europee adottate recentemente in Italia – che dovrebbero imporre alla Pa di saldare le fatture entro 60 giorni – trovano scarsissima applicazione.
Il quarto elemento critico riguarda gli incassi fra aziende, in particolare fra produttori e fornitori. I ritardi dei pagamenti sono evidenziati anche nei rapporti fra privati che si traducono in un colpo tremendo alla circolazione di liquidità e nella crescita delle insolvenze.
La quinta fonte di apprensione è lo stop agli investimenti che, allo stesso tempo, rappresenta un fattore e una conseguenza della crisi economica. Per le imprese italiane la pianificazione degli investimenti sia sul versante dell’innovazione sia su quello della manutenzione ordinaria di stabilimenti, fabbriche, capannoni, esercizi commerciali, infrastruttura tecnologica.
“La ripresa è fragile, nonostante alcuni segnali positivi. Servirebbe una cura choc per la nostra economia. Invece registriamo uno stop nell’azione del governo di Matteo Renzi, che pure sembrava esser partito col piede giusto a febbraio 2014. Le recenti misure approvate in campo economico, come quella sulle perdite fiscali delle banche, dovrebbero avere effetti positivi, ma non sono inserite in un piano ampio e complessivo di politica economica, che possa mettere l’economia italiana in un sentiero positivo e stabile di ripresa economica” commenta il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi.
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