Roma, 15 luglio 2012. Entro il 2012 rischia il fallimento una impresa su tre. A questa conclusione arriva uno studio di Unimpresa che ha analizzato i dati sulle sofferenze bancarie. L’analisi si è focalizzata in particolare sulla probabilità di ingresso in sofferenza entro l’arco di un anno, che viene stimata attraverso una metodologia statistica che utilizza indicatori desunti dal bilancio dell’impresa e dalle segnalazioni delle banche alla Centrale dei rischi, che approssimano la presenza di tensioni sulle linee di credito.
I dati statistici elaborati dal Centro studi di Unimpresa sui bilanci delle banche provano che 8 imprese in osservazione su 10 peggiorano la loro performance e salute finanziaria nei 12 mesi successivi al segnale di rischio. Ebbene, l’analisi delle probabilità di default entro il 2012 evidenzia un chiaro peggioramento rispetto all’anno precedente: quasi un’impresa su tre.
In termini assoluti, contribuiscono al complessivo deterioramento soprattutto le imprese del comparto dei servizi (30.134 su 101.257), seguito da quello manifatturiero (22.073 su 40.178) e a breve distanza dal settore delle costruzioni (16.129 su 32.402). In termini percentuali sono, tuttavia, i comparti dell’industria e dell’edilizia che stanno peggio, con almeno un’una impresa su due in sofferenza. A livello territoriale, risulta particolarmente aumentata la vulnerabilità delle imprese con sede nelMezzogiorno, più di quanto dicano i dati ufficiali diffusi da Bankitalia, la cui probabilità di fallimento, per i noti problemi ambientali, riteniamo debba essere considerata quasi doppia rispetto alla media nazionale.
“La fase di “contenimento” del rischio basata su antiche regole impartite nelle direzioni crediti – spiega Luigi Scipione – è in realtà per molte imprese l’anticamera del fallimento. Se le condizioni peggiorano e l’impresa comincia a generare sconfinamenti su sconfinamenti, le possibilità di salvezza si riducono drasticamente”.
Secondo il Centro studi Unimpresa “le sofferenze continuano a crescere a fronte di una limitata capacità delle banche di assorbire il costo del credito attraverso una innovativa strategia di gestione del credito problematico. Le banche stanno finanziando le imprese ancora in modo eccessivo con scoperti di conto corrente.Per gli istituti di crediti si tratta di una forma tecnica vantaggiosa per i tassi applicati (questo è il motivo dell’abbondanza), sebbene assai rischiosa in presenza di una crisi diffusa di liquidità, secondo il monito del governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco”.
“Sennonché la somma di una politica finanziaria spericolata (troppa leva, credito a breve revocabile), dal lato dell’impresa, e di una politica creditizia guidata principalmente dall’ansia di riduzione del rischio a breve, dal lato del sistema creditizio, stanno determinando una crescita esponenziale del rischio di fallimento. Così è stato nel triennio 2009-2011 e sta continuando nel 2012 a giudicare dai dati sui fallimenti e dai dati sulle sofferenze bancarie comunicati dalla Banca d’Italia, specchio della medesima realtà”.
“È inequivocabile – osserva Scipione – che a partire dalla metà del 2008 ad oggi è cresciuto il rapporto tra il flusso di nuove sofferenze e prestiti, un indicatore che approssima il tasso d’insolvenza della clientela. Le esposizioni delle banche nei confronti di clientela in situazione di temporanea difficoltà sono aumentate. I dati di conto economico dei principali istituti relativi al secondo trimestre del 2012 mostrano una netta crescita degli accantonamenti e delle rettifiche di valore, interamente ascrivibile alla componente relativa al deterioramento dei crediti, aumentata di quasi il 40%”.
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