di Ciro Coticelli, Avvocato
Commento a sentenza 17 settembre – 24 novembre 2020, n. 26694 della Corte di Cassazione, sez. III Civile.
L’agenzia di viaggi Alfa cita in giudizio il Tour Operator B per ottenere la restituzione di quanto versato al cliente Sempronio (somma corrispondente all’intero prezzo del pacchetto turistico), atteso che lo stesso non aveva potuto usufruire del viaggio a causa dell’anticipazione della partenza del volo, non comunicatagli.
Da tale situazione trova scaturigine la sentenza n. 26694/20 della Suprema Corte di Cassazione, III sezione civile.
La pronuncia in commento è pregna di interessanti spunti e richiami a principi di diritto, talvolta obliati anche dalle corti di merito.
In primo luogo il rapporto (rectìus i rapporti) tra Agenzia viaggi, Tour operator e cliente.
L’agenzia di viaggi, ribadisce la Corte di Legittimità, “agisce al contempo come mandataria all’acquisto per conto del cliente e come mandataria alla vendita per conto del tour operator, ed in tal veste assicura la conclusione, tra i predetti mandanti, del contratto di viaggio. Ne consegue che diritti ed obblighi relativi a tale ultimo rapporto sorgono direttamente tra tour operator e cliente finale, onde l’adempimento, da parte dell’agente di viaggi, di un obbligo restitutorio del tour operator costituisce diretto arricchimento per costui e non trova causa in alcuna obbligazione gravante sull’agente; quest’ultimo, infatti, assume nei confronti del proprio cliente l’obbligo di procurare il servizio turistico, ma non anche la correlativa obbligazione di risultato concernente l’esito del servizio predetto, per il quale sussiste la responsabilità diretta del tour operator. Non è quindi possibile confondere le vicende del rapporto interno tra mandante e mandatario con quelle del diverso rapporto concluso tra tour operatore cliente per effetto dell’intermediazione dell’agente di viaggi. Né, del resto, l’agente avrebbe alcun potere di ripetere quanto versato al proprio cliente finale, posto che costui aveva comunque il diritto di ricevere il rimborso di quanto versato per un servizio non ricevuto e, non avendo esercitato la facoltà di rifiutare l’adempimento eseguito dal terzo a fronte di un interesse all’adempimento personale del debitore o di un’opposizione di quest’ultimo, ai sensi di quanto previsto dall’art.1180, primo e secondo comma, c.c., ha pieno diritto di trattenere l’utilità ricevuta, che nei suoi confronti non costituisce indebito oggettivo”.
Chiarisce la Corte che laddove il terzo provveda a pagare il creditore ciò che ne deriva ex art. 1180 c.c. è un effetto solutorio dell’obbligazione anche contro la volontà del creditore, ma lo stesso non può ripetere la somma versata, essendo necessario, a tal fine, che sia allegato e dimostrato il rapporto sottostante tra terzo e debitore. Ne consegue che, nel caso in cui sia escluso che tra questi esista un rapporto di mutuo (e, comunque, non sia dimostrata l’esistenza di qualsiasi altra causa a sostegno dell’azione) il giudice non può accogliere la domanda in virtù della mera considerazione che, nella specie, sia effettivamente dimostrato l’avvenuto pagamento, ad opera del terzo, del debito altrui.
Ecco allora che il solvens che “abbia pagato sapendo di non essere debitore può agire unicamente per ottenere l’indennizzo per l’ingiustificato arricchimento, stante l’indubbio vantaggio economico ricevuto dal debitore“
La surrogazione legale del solvens nei diritti spettanti al creditore, infatti, si verifica soltanto nel caso in cui il primo sia tenuto al pagamento, con altri o per conto di altri, o sia comunque legato al debitore da un rapporto preesistente al pagamento, idoneo a giustificare l’esercizio, nei confronti del medesimo, dell’azione di regresso.
In ogni altro caso, come quello deciso dalla Corte, si verifica soltanto uno spostamento patrimoniale, di per sé sfornito di valida causa giustificatrice, al quale corrisponde un corrispondente beneficio per il debitore che avrebbe dovuto provvedere al pagamento.
Ne deriva che, il difetto di una qualsiasi azione titolata tra solvens e debitore che viene indirettamente beneficiato dell’adempimento eseguito dal primo “giustifica pertanto l’applicazione dell’azione generale di arricchimento senza causa di cui all’art.2041 c.c., che in ragione del suo carattere residuale interviene proprio nelle ipotesi in cui -come quella di cui qui si discute- l’ordinamento non appronti una diversa azione titolata a tutela dei diritti del soggetto che ha subito un depauperamento privo di idonea causa giustificativa”.
Domanda che, ribadiscono gli Ermellini, “può essere proposta anche per la prima volta in appello, purché prospettata sulla base delle medesime circostanze di fatto fatte valere in primo grado“.
A conclusione della pronuncia, davvero ricca di spunti, la Corte di Cassazione chiarisce che non vi è responsabilità solidale tra agente e tour operator nei confronti del cliente finale.Nel richiamare l’art. 14, primo comma, del D.Lgs. n.111 del 17 marzo 1995, il quale prevede che “In caso di mancato o inesatto adempimento delle obbligazioni assunte con la vendita del pacchetto turistico l’organizzatore e il venditore sono tenuti al risarcimento del danno, secondo le rispettive responsabilità, se non provano che il mancato o inesatto adempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a loro non imputabile“, viene evidenziato in sentenza che “L’espressione usata dal legislatore (“secondo le rispettive responsabilità”) indica chiaramente che agente e tour operator non rispondono in via solidale nei confronti del cliente finale, bensì ciascuno per quanto di propria competenza , e quindi, nello specifico, l’agente, per il corretto adempimento del mandato ad acquistare conferitogli dal cliente, ed il tour operator, per il puntuale adempimento del contratto di viaggio direttamente concluso da quegli con il cliente finale”.
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