Ci sono più di mille miliardi di euro di titoli di Stato da rinnovare e rifinanziare nel prossimo quinquennio. Per l’esattezza, 1.172 miliardi da oggi fino alla fine del 2027, anno in cui arriverà a termine questa legislatura. In totale, il debito pubblico è arrivato (dato di febbraio scorso) a 2.772 miliardi e una parte rilevante di questa somma, pari al 42,3% del totale, ricade sotto la responsabilità del governo in carica. È quanto emerge da un report del Centro studi di Unimpresa secondo il quale queste cifre sono destinate a crescere, se si considerano le emissioni di breve termine, in particolare i bot con pochi mesi di vita gestiti periodicamente dal Tesoro, spesso per esigenze di cassa.
«Nel lungo piano delle scadenze di obbligazioni statali, però, c’è una pericolosa incognita, rappresentata dai tassi d’interesse e dal costo del denaro. La crescita dell’inflazione ha spinto la Banca centrale europea ad aumentare il tasso base, con sette rialzi da luglio 2022, fino al 3,75% determinato il 4 maggio scorso» commenta il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora, secondo il quale «tutto questo potrebbe far impennare la spesa per interessi a carico dello Stato». La spesa per interessi è una voce del bilancio che si è attestata a 83,2 miliardi nel 2022 e dovrebbe calare a 75,6 miliardi quest’anno, per poi salire progressivamente nel triennio successivo a 85,1 miliardi (2024), 91,6 miliardi (2025) e 100,6 miliardi (2026). Una crescita che non sarà solo in termini assoluti, ma anche percentuali: se, infatti, il costo per il servizio del debito è stato pari al 4,4% del prodotto interno lordo nel 2022 e ripiegherà al 3,7% quest’anno, successivamente salirà, secondo quanto riportato nell’ultimo Documento di economia e finanza, al 4,1% del pil nel 2024, al 4,2% nel 2025 e infine al 4,5% nel 2026. Previsioni che potrebbero essere riviste al rialzo se la politica monetaria nell’eurozona fosse ancora a lungo restrittiva.
«Dunque, la Bce determinerà un aumento dei profitti per i sottoscrittori del debito pubblico del nostro Paese. E uno degli aspetti principali è capire chi compra i titoli emessi dal Tesoro: ci limitiamo a dividere gli investitori in due categorie, da una parte i detentori italiani, dall’altra gli stranieri» spiega Spadfora. A gennaio 2021, su un totale di debito pari a 2.679 miliardi, il 70,8% era in mano a soggetti italiani, mentre il 29,2% faceva capo a soggetti esteri; già nel 2022, dopo appena 12 mesi, si è registrata una ritirata, parziale, degli stranieri, scesi al 26,8% e poi ancora più giù al 26,5% a gennaio scorso. Un cambio di direzione che con ogni probabilità va motivato soprattutto con il quadro politico incerto del biennio scorso e un pizzico di fiducia venuta meno. I prossimi mesi, quindi, ci diranno se il governo in carica è stato capace di rasserenare i mercati finanziari internazionali.
Nel dettaglio, tornando alle scadenze, nel 2023 arrivano a fine corsa titoli di Stato per 273,2 miliardi: si tratta di 82,5 miliardi di bot, 169,9 miliardi di btp e 20,8 miliardi di cct. Nel 2024, poi, vanno rifinanziati 31,1 miliardi di bot, 238,8 miliardi di btp e 30,2 miliardi di cct per un totale di 300,2 miliardi. Cifra che cala a 227,1 miliardi nel 2025 (quando la parte prevalente del debito in scadenza sarà composta da 185,7 miliardi di btp, cui aggiungere 41 miliardi di cct) e poi ancora a 226,7 miliardi nel 2026 (211,1 miliardi di btp e 15,6 miliardi di cct). Nell’ultimo anno (almeno teorico) della legislatura, il 2027, l’agenda delle scadenze del Tesoro riporta rifinanziamenti per 145,4 miliardi, tutti in btp. Il piano delle scadenze di titoli di Stato arriva fino al 2072 e l’ammontare complessivo delle emissioni in circolazione è pari a 2.330,9 miliardi. Gli altri 441,1 miliardi di debito (il totale, lo ricordiamo, è pari a 2.772,1 miliardi) corrispondono a monete e depositi, prestiti di istituzioni finanziarie e monetarie, finanziamenti dell’Unione europea.
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