“Il Def e la manovra correttiva sui conti pubblici non devono contenere misure volte all’inasprimento fiscale che affosserebbe la debolissima ripresa economica. Nonostante le esigenze poste dall’Unione europea e dai vincoli di bilancio, che ci impongono una correzione di 3,4 miliardi di euro, va evitato a tutti i costi il ricorso a ulteriori aumenti delle tasse. Sulle imprese e sulle famiglie già grava una pressione fiscale abnorme e proprio oggi l’Istat ha accertato che la metà dei redditi viene consegnata nelle casse dello Stato, nel 2015 la pressione fiscale era al 50,2% e nel 2016 è rimasta sostanzialmente invariata attestandosi al 49,6%.”. Lo dichiara il vicepresidente di Unimpresa, Claudio Pucci, nel giorno in cui il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, incontra i rappresentanti della maggioranza parlamentare in vista della presentazione, programmata per la prossima settimana, del Documento di economia e finanza.
Unimpresa ha già formalmente inviato al governo e al Parlamento una proposta specifica sul fisco. Il pacchetto prevede due fasce per le tasse sui redditi d’impresa: la prima, quella della aziende più piccole, con fatturato fino a 300.000 euro, prevede una imposta sostituiva con aliquota al 5% per le imprese senza dipendenti, al 3% con un dipendente, all’1% con più di un dipendente; per la seconda fascia, oltre i 300.000 euro di fatturato, verrebbe istituita una flat tax con tassazione su reddito netto con aliquota al 20%.
Secondo la proposta di Unimpresa, le aziende più piccole verrebbero agevolate anche da adempimenti amministrativi ridotti al minimo, col solo obbligo delle liquidazioni Iva. Esclusi gli strumenti induttivi di accertamento del reddito. Resterebbe comunque la possibilità di optare per il regime ordinario, che non verrebbe cancellato. Per le aziende più grandi, identificate con fatturato superiore a 300.000 euro, la flat tax al 20% verrebbe applicata al reddito netto, calcolato con la differenza aritmetica tra ricavi e costi.
Unimpresa suggerisce pure la totale abolizione dell’Irap: un primo passo è stato attuato con le modifiche introdotte dal primo governo “Renzi”, che ha abolito la tassazione dell’imposta regionale sulle attività produttive calcolata sul costo del lavoro. Tuttavia continua a permanere l’incidenza di una imposta che non ha nessuna ragione di esistere, se non quella di “fare cassa”.
L’associazione auspica poi l’abolizione delle norme attuali sulle attività estere della piccola impresa. Ciò con particolare riferimento alle norme relative al transfer price, prevedendo sempre la punibilità degli abusi, ma esonerando il piccolo imprenditore (qualifica legata ai volumi di affari) dai costosi e impossibili adempimenti legati alla predisposizione della documentazione “transfer price”. Ad esempio potrebbe essere previsto per questi un ruling obbligatorio “certo” e “fisso”. Inoltre viene proposta la rivisitazione completa della norma che stabilisce la presunzione della “esterovestizione”, escludendola quando la delocalizzazione dell’impresa non coincida con la cancellazione dell’impresa italiana ma una sua “espansione” in termini territoriali. Per ciò che concerne la exit-tax si chiede una maggiore chiarezza interpretativa distinguendo fra la strumentale cessazione dell’attività imprenditoriale in Italia con il trasferimento di beni materiali e immateriali all’estero, e la semplice cessazione con alienazione di beni in Italia e la creazione di una nuova impresa all’estero.
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