di Paolo Longobardi, Presidente onorario Unimpresa
L’iniziativa popolare presentata dalla Cisl negli scorsi mesi, ora all’esame del Parlamento, volta a introdurre un modello di governance partecipativa nelle imprese italiane rappresenta un’occasione di riflessione e di crescita per il nostro sistema produttivo. La proposta, ispirata a esperienze consolidate in altri Paesi europei e internazionali, introduce strumenti concreti per favorire un maggiore coinvolgimento dei lavoratori nella vita aziendale, valorizzando il loro ruolo non solo come forza produttiva, ma anche come parte integrante del processo decisionale.
L’idea che un’azienda possa essere più competitiva e più sostenibile grazie alla partecipazione dei lavoratori non è affatto nuova. In Germania, con il modello della Mitbestimmung, i rappresentanti dei lavoratori siedono nei consigli di sorveglianza delle grandi imprese, contribuendo alla stabilità delle scelte strategiche e favorendo un clima di collaborazione tra management e dipendenti. Tale sistema ha permesso alle aziende tedesche di attraversare con maggiore solidità le crisi economiche, evitando tensioni e conflitti che spesso sfociano in una paralisi decisionale. Il sistema della Volkswagen, per citarne uno, è emblematico: la presenza dei lavoratori nelle scelte aziendali non ha affatto compromesso la competitività della casa automobilistica, ma ha garantito una maggiore coesione sociale, una distribuzione più equa della ricchezza prodotta e un’attenzione costante alla qualità del lavoro.
Dall’altra parte dell’Atlantico, negli Stati Uniti, il coinvolgimento dei lavoratori nelle imprese assume una forma diversa, ma altrettanto efficace. Il modello dell’azionariato diffuso tra i dipendenti, adottato da grandi realtà come Microsoft, Google e Amazon, dimostra che un lavoratore che possiede quote della società per cui lavora sviluppa un legame più solido con l’azienda, contribuisce in modo più attivo al suo successo e si sente parte di un progetto più ampio. La possibilità di distribuire una quota degli utili ai lavoratori non è quindi una misura assistenziale, ma un modo per incentivare la produttività e la fedeltà aziendale, riducendo il turn-over e aumentando l’efficienza complessiva. In Italia, il dibattito su questi temi è rimasto per troppo tempo in secondo piano. Il nostro modello imprenditoriale, caratterizzato da una forte presenza di piccole e medie imprese, ha vissuto la partecipazione in modo spontaneo e non normato. Nelle microimprese e nelle aziende a conduzione familiare, il rapporto tra proprietari e dipendenti è spesso diretto, basato su fiducia e collaborazione quotidiana. L’idea che chi lavora debba avere un ruolo attivo nelle decisioni aziendali non è una novità per le imprese artigiane, per il commercio di prossimità, per le aziende agricole e per tutte quelle realtà dove la relazione tra chi guida l’impresa e chi vi opera è naturale e consolidata.
Questa riforma, quindi, può rappresentare un ponte tra la tradizione e l’innovazione. Se è vero che nelle imprese più piccole la partecipazione è già una prassi diffusa, è altrettanto vero che nelle grandi società si sente la necessità di un modello più strutturato, che dia stabilità al dialogo tra proprietà e lavoratori. La proposta di legge si muove in questa direzione: introduce strumenti flessibili, adattabili alle diverse realtà imprenditoriali, e offre incentivi concreti per chi sceglie di adottare schemi di governance partecipativa. La previsione di sgravi fiscali per le aziende che adottano piani di partecipazione finanziaria e la possibilità di una distribuzione più equa degli utili sono misure che meritano attenzione. Un’impresa più inclusiva è anche un’impresa più resiliente e capace di attrarre investimenti, perché dimostra di saper coniugare la crescita economica con il benessere di chi vi lavora. Inoltre, la creazione di un Garante della sostenibilità sociale delle imprese, come previsto dalla proposta, potrebbe rappresentare un elemento di trasparenza e di garanzia, incentivando comportamenti virtuosi e migliorando la reputazione complessiva del sistema imprenditoriale italiano.
Naturalmente, questa riforma dovrà essere attuata con equilibrio, garantendo la competitività delle imprese e preservando la loro libertà gestionale. Ma è indubbio che una maggiore partecipazione dei lavoratori non solo non è un ostacolo alla crescita, ma può esserne un acceleratore. I modelli internazionali lo dimostrano e la nostra tradizione di impresa familiare lo conferma: quando chi lavora si sente parte dell’azienda, l’azienda cresce meglio e con maggiore stabilità. C’è da guardare, dunque, con grande favore a questa iniziativa e bisogna auspicare che il dibattito parlamentare possa affrontare il tema con spirito costruttivo, senza pregiudizi ideologici. È il momento di superare le contrapposizioni tra capitale e lavoro e di adottare un modello di impresa che sappia guardare al futuro, coniugando efficienza e responsabilità sociale. L’Italia ha l’opportunità di fare un passo avanti, in linea con le migliori esperienze internazionali.
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