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Diffamazione aggravata “a mezzo Facebook”

di Sabrina Grisoli

IL VIRGOLETTATO DEL TITOLO È D’OBBLIGO ATTESO CHE LA FATTISPECIE IN COMMENTO DI CUI ALL’ART. 595 CO. 3 C.P., RIENTRA NELLA PIÙ VASTA IPOTESI DI “… OFFESA RECATA COL MEZZO DELLA STAMPA O CON QUALSIASI ALTRO MEZZO DI PUBBLICITÀ …”, INTENDENDO LA GIURISPRUDENZA DI LEGITTIMITÀ NELLA LOCUZIONE “MEZZO DI PUBBLICITÀ” ANCHE LA BACHECA PUBBLICA SUL NOTO SOCIAL NETWORK.

AFFERMA INFATTI LA SUPREMA CORTE CHE:

“… la diffamazione tramite internet costituisce un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595 c.p., comma 3, in quanto commessa con altro (rispetto alla stampa) mezzo di pubblicità idoneo a determinare quella maggior diffusività dell’offesa che giustifica un più severo trattamento sanzionatorio” (Cass. Pen. n. 6785 del 2015) e che “… anche la diffusione di un messaggio con le modalità consentite dall’utilizzo per questo di una bacheca Facebook, ha potenzialmente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, sia perché, per comune esperienza, bacheche di tal natura racchiudono un numero apprezzabile di persone (senza le quali la bacheca Facebook non avrebbe senso), sia perché l’utilizzo di Facebook integra una delle modalità attraverso le quali gruppi di soggetti socializzano le rispettive esperienze di vita, valorizzando in primo luogo il rapporto interpersonale, che, proprio per il mezzo utilizzato, assume il profilo del rapporto interpersonale allargato ad un gruppo indeterminato di aderenti al fine di una costante socializzazione. Identificata nei termini detti, la condotta di postare un commento sulla bacheca Facebook realizza, pertanto, la pubblicizzazione e la diffusione di esso, per la idoneità del mezzo utilizzato a determinare la circolazione del commento tra un gruppo di persone comunque apprezzabile per composizione numerica, di guisa che, se offensivo tale commento, la relativa condotta rientra nella tipizzazione codicistica descritta dal terzo comma dell’art. 595 c.p.p.” (Cass. Pen. Sez. I, 8 giugno 2015, n. 24431).

LA SCRIMINANTE DEL DIRITTO DI CRITICA

Non può essere invocato l’eventuale esercizio del diritto di critica da parte dell’agente, qualora esso, pur concretizzandosi nella manifestazione di opinioni, non rispetti determinati ed imprescindibili limiti, come specificato dall’ormai consolidata giurisprudenza della Suprema Corte.

E’ indispensabile, in primis, che i fatti oggetto del diritto in esame abbiano un contenuto di veridicità, nel senso che devono riferirsi ad un fatto storicamente vero o ad un evento realmente accaduto perché, qualora così non fosse, sarebbe fine a sé stessa e di conseguenza, lesiva della reputazione di una determinata persona e, pertanto, mera occasione per una gratuita aggressione dell’altrui patrimonio morale (cfr. ex plurimis, Cass. Pen. Sez. V, sentenza del 28 dicembre 2011, n. 48553).

In secondo luogo, l’esercizio del diritto di critica, quanto alla sua legittimità, risulta essere condizionato all’osservanza del limite della continenza del linguaggio adottato, limite che viene in considerazione sotto l’aspetto della correttezza formale dell’esposizione. Tale condizione, nel diritto di critica, è da considerarsi superato in presenza di espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato: pertanto non può in alcun modo giustificarsi l’uso di locuzioni che si risolvano nella denigrazione dell’onore della vittima.

Infatti, ciò che distingue la critica dall’invettiva, o dall’insulto, è il fatto che la prima è argomentata, la seconda è gratuita. Di conseguenza, per ritenersi validamente, e non solo formalmente, argomentato un giudizio critico, questo deve essere corredato da una spiegazione che renda manifesta al destinatario del messaggio la ragione della censura.

In terzo luogo è sempre necessario un bilanciamento tra la pertinenza della critica effettuata e l’interesse pubblico; cioè l’interesse dell’opinione pubblica alla conoscenza non del mero fatto oggetto di pubblicazione, ma della interpretazione dell’accadimento medesimo mediante l’esercizio del diritto di critica.

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