Le banche stanno procedendo con la valutazione del merito creditizio dei clienti che presentano le richieste di finanziamenti fino a 25.000 euro introdotti col decreto “liquidità”. Si tratta di una verifica ulteriore – non prevista dalla legge – che sta significativamente rallentando le procedure interne finalizzate all’erogazione dei prestiti garantiti dallo Stato con l’obiettivo di sostenere partite Iva e piccole e medie imprese.
Lo denuncia Unimpresa spiegando che il decreto legge 23 dell’8 aprile 2020, infatti, stabilisce, per questo tipo di crediti, una banale verifica: la banca deve semplicemente e rapidamente accertare che il soggetto richiedente non abbia sofferenze o crediti deteriorati fino al 31 gennaio 2020; il cliente, poi, non deve essere un cosiddetto cattivo pagatore ovvero non deve avere arretrati nei pagamenti superiori al 90 giorni, sempre fino al 31 gennaio 2020. La valutazione del merito creditizio, invece, è un giudizio prospettico, basato anche sull’analisi dei bilanci, che misura la capacità di un soggetto di poter rimborsare un finanziamento.
«A parole, sembra tutto facile. Nei fatti, è il contrario ed è uno scandalo. Ogni giorno riscontriamo ritardi e lungaggini, figlie di disposizioni messe nero su bianco, anche nelle circolari interne di alcuni gruppi, che, in spregio alle norme e soprattutto allo spirito del decreto del governo, rallentano l’afflusso di liquidità a chi si trova in vera e propria emergenza» commenta il vicepresidente di Unimpresa . «Per ovviare a questo tipo di disguidi, tutte le banche dovrebbero creare delle vere e proprie task force per gestire sia le procedure sia la comunicazione, quella interna e quella esterna per la clientela, ma senza trucchi e senza complicare gli iter per i finanziamenti» aggiunge il vicepresidente di Unimpresa.
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