Il piano di Unimpresa prevede dunque due azioni parallele sul bilancio pubblico italiano. Nel primo caso si tratta di agire sulla massa di denaro che la Pa eroga alle imprese, circa 36 miliardi l’anno. Di questi vanno ritenuti intoccabili i 12 miliardi stanziati per la viabilità, le ferrovie e il trasporto pubblico locale. Mentre possono essere risparmiati senza indugi 10 miliardi attingendo in parte ai 7 miliardi gestiti dallo Stato centrale e in parte ai 17 miliardi di competenza delle regioni. Denaro che viene “girato” alle aziende sotto forma di sussidi ala produzione e agli investimenti, ma che non porta ai risultati sperati sul versante della crescita. La seconda direttrice su cui agire riguarda le spese correnti della pubblica amministrazione, cioè gli acquisti e le forniture di beni e servizi. Una “voce” delle uscite che nel 2013 ammontava a 140 miliardi, cresciuta del 50% in cinque anni. In questo ambito, tra le pieghe del bilancio, si nascondono le sacche maggiori di sprechi. Con un mini taglio pari ad appena il 3,5% del totale si potrebbero “racimolare” subito 5 miliardi spalmando i “sacrifici” sull’intera Pa, magari imponendo a tutti i livelli delle amministrazioni statali e pubbliche una revisione dei budget 2013: o eliminando l’acquisto di alcuni beni e servizi superflui o rivedendo coi fornitori i termini economici di altri contratti.
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