del dott.Marco Massarenti
Continua a persistere, in maniera sgradevolmente incessante l’esodo dei genitori grotteschi che vagano e vaneggiano tra campi sportivi, spalti e aule scolastiche.
Sempre più spesso apprendiamo notizie di genitori bulli che intervengono senza scrupoli invadendo vita e palazzetti dei figli così come altrettanto frequentemente si sente di genitori che a braccia tese sferrano pugni ai professori come in raccapriccianti scene da ring. Una sincronia di squallidi eventi tra tribune e plessi scolastici; una piaga sociale senza tempo e logica.
Soprattutto in ambito sportivo, durante i match dei propri figli, il verbo più usato da molti genitori è: protestare, seguito da sbraitare, urlare, minacciare, infuriare fino a picchiare. Si prosegue con il lanciare contro allenatori e arbitri ogni sorta di epiteto e costringere i propri figli a interventi fallosi.
Lasciare che i propri figli vivano l’insuccesso: esperienza di apprendimento e di abitudine alla perseveranza nonché chiave per apprezzare le sfide.
I genitori hanno da sempre avuto un ruolo importante per la crescita sportiva ed educativa dei propri figli affinché l’esperienza sportiva e scolastica possa essere positiva e formativa.
Il compito del genitore è sempre stato e rimane quello di fornire incoraggiamento e supporto, per far sì che il figlio atleta e alunno si senta sicuro di poter provare e ovviamente anche fallire, considerando quest’ultimo come l’elemento primo necessario per poter in futuro affrontare ogni tipo di esperienza.
Quando il fallimento dei figli spaventa i genitori invadenti si può condurli a problemi di natura psicologica
Oggigiorno assistiamo sempre più a casi in cui mamma e papà vogliono sostituirsi alla figura dell’allenatore muovendosi a protezione del proprio figlio ma, quando non riescono la rabbia sfocia in atti violenti.
Studi effettuati da Weinberg e Gould, esponenti nell’ambito dell’Applied Sport Psychology e direttori dell’Institute for the Study of Youth Sports, spiegano come i comportamenti dei genitori rispetto alla pratica sportiva dei loro figli siano fortemente correlati al benessere psicologico di questi ultimi.
Dalle ricerche è emerso che i genitori che hanno per il loro figli aspirazioni sportive per cui lo scopo è sviluppare competenza e dove l’errore è considerato parte del processo di apprendimento, favoriscono la crescita di un’esperienza vantaggiosa. Al contrario, quelli che hanno come obiettivo la dimostrazione di un livello di abilità superiore rispetto ad altri e dove l’errore è sintomo di mancanza di capacità, spianano la strada alla poca autostima e a maggiori livelli di stress.
Ancora altre ricerche presenti in letteratura, dimostrano che i minori che ricevono pressione hanno effetti negativi come un aumento dell’ansia da prestazione, timore del fallimento, e burnout dell’atleta; sintomatologia psico-fisiologica.
Il rischio è quello che il figlio possa sentirsi amato e stimato solo in relazione ai successi ottenuti con conseguenze nelle varie fasi di sviluppo fino al raggiungimento di un altissimo tasso di dropout sportivo, quel fenomeno di abbandono precoce che tutti i genitori temono e per il quale invece molti ne sono responsabili.
Quando i genitori bulli capiranno che intervenendo in modo violento a difesa del figlio, lo colpiscono nell’autostima?
Seppur è vero che in alcuni casi l’intervento genitoriale è indispensabile, è altrettanto importante che i nostri figli affrontino le situazioni in prima persona confrontandosi in maniera civile ma, per poterlo fare devono anteprima ricevere dai genitori strumenti di dialogo e di apertura mentale.
È necessario che qualcuno ricordi ai genitori che i cattivi esempi di aggressione e di violenza sono sia fisici che verbali e che la violenza non ha un valore A o un valore B ma, è tale a prescindere.
Urge quindi, un codice etico di comportamento; i numerosi fatti di violenza, anche recenti, impongono un provvedimento immediato.
Si rende necessaria una linea dura anti genitore aggressivamente invadente
La strada da percorrere, come già proposto in Parlamento, potrebbe essere quella del Daspo da applicare a madri e padri turbolenti, così come si fa per i tifosi violenti.
I genitori attaccabrighe umiliano i loro figli e meritano di essere puniti per i danni che gli arrecano.
Vanno oltretutto puniti per incitamento alla violenza e per delegittimazione sia degli avversari che del ruolo dell’allenatore. Tutti gli antisportivi che generano violenza devono essere passabili di punizione legale, anche multati e allontanati dal contesto.
Arrecare danno a quello che deve rappresentare un sano momento di aggregazione sociale non può rimanere impunito. Non da meno potrebbe essere favorevole obbligare questi adulti a corsi obbligatori di informazione e formativi sulla consapevolezza dell’attività sportiva e sui valori ad esso correlato, promuovendo la cultura sportiva.
Obbligarli anche a provvedere, attraverso terapie adeguate, al controllo degli stati d’animo e di gestione della rabbia, perché se ancora non si fosse capito questo tipo di violenza che si esplicita con leggerezza può essere pericoloso per chi la subisce attivamente ma anche per chi la subisce in modo passivo favorendo quell’abuso emotivo di sopraffazione che nel tempo mina il valore personale, la dignità e l’autostima di un’altra persona.
Nello sport, e in contesti educativi, troppo spesso si è costretti a soffrire le ingerenze di pubblici formati da genitori maleducati e talvolta irrispettosi delle più elementari regole di comportamento. Stop quindi al buonismo, all’accanimento contro supporters sportivi e insegnati ma soprattutto è arrivato il momento di dire basta alla generazione dei genitori ultras.
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