di Carla Liberatore
Per esterovestizione s’intende quella pratica messa in atto sia da aziende e società sia nazionali che estere, tesa a sfuggire al regime fiscale più pressante che esista: quello italiano.
Attualmente la quantificazione della pressione fiscale italiana sulle aziende, imprenditori, liberi professionisti e società in genere è stata valutata intorno al 75%.
La esterovestizione diventa dunque una necessità di sopravvivenza per tutte le categorie di lavoratori autonomi. Un diritto, non-diritto, sancito dal bisogno di reggere in piedi la propria attività aziendale.
Consiste nella falsa locazione o ri-locazione della attività in proprio all’estero esportando la residenza fiscale di una società che invece di fatto persegue i suoi obiettivi all’interno del Paese Italia.
Lo scopo è ovviamente quello di approdare ad un regime fiscale più ragionevole e sicuramente più conveniente soprattutto laddove una società presenta delle plusvalenze di cessioni e partecipazioni.
L’imprenditore che intende esterovertire la propria attività, ma che in genere invece appronta tale attività sul territorio italiano, anche allorquando espatria la residenza fiscale in uno stato estero è costretto a sottostare a ciò che prevedono in materia le leggi italiane. Con le nuove normative che regolamentano il tema, tuttavia tale pratica non è più consentita in quanto seppure la residenza fiscale risulta in uno stato straniero anche fuori UE (Unione Europea), ma le attività dell’imprenditore vengono proseguite in Italia, vale il regime fiscale nazionale secondo le ultime modifiche alla legge del TIUR all’art. 73, comma 5 bis del 2006.
Tale articolo infatti regolamenta in maniera definitiva quelli che sono i criteri con cui stabilire la residenza fiscale per le persone giuridiche al pari di quanto stabilito anche per le persone fisiche.
Quindi quando sussitono le condizioni di:
- Sede legale di società indicata all’atto costitutivo in Italia;
- Sede ammnistrativa ovvero dove viene svolta la direzione della società in Italia;
La esteroversione si ritiene nulla o fittizia.
Alcuni esempi possono essere indicati con le società di Amazon e Google, le quali appunto, sono state recentemente prese di mira dal fisco italiano poiché svolgono le proprie attività sul suolo nazionale anche se sono aziende con sede amministrativa negli Stati Uniti.
Nel caso di Google infatti, in giugno del 2017, è stato approntato un accordo con il fisco italiano tramite l’Agenzia delle Entrate, che prevede l’esborso da parte del colosso statunitense del web di ben 306 milioni di euro in tre anni. Tutto ciò è avvenuto a margine di una serie di indagini legali e amministrative svolte dallo Stato italiano nei confronti della società fra il 2002 e il 2015.
Lo Stato italiano ha dunque accertato negli anni la stabile organizzazione di Google sul proprio territorio, la quale consentiva di vendere prodotti e servizi di ogni tipo da parte della società americana.
La controversia si è inasprita proprio allorquando in Italia è stato varato il comma 5 bis delle legge 73 inserita nel TIUR (Testo Unico Imposte e Redditi).
In genere però tutte le società operanti sul web, riescono in ogni modo a stabilire le loro sedi in Pesi in cui il prelievo fiscale è piuttosto basso attraverso l’apertura di filiali.
Anche colossi come Facebook, Netflix e altri, pagano comunque le tasse sul suolo italiano in quanto vi operano.
Soltanto le grandi aziende commerciali cinesi di internet come per esempio AlìBaba, riescono a sfuggire al regime fiscale italiano poiché tutte hanno stabilito la propria residenza fiscale alle Isole Cayman e operano a livello internazionale. Infatti non esistono ancora regolamenti internazionali che possano stabilire quale prelievo fiscale applicare a tali aziende e si fa quindi attualmente riferimento al paese di residenza fiscale.
In buona sostanza nonostante gli sforzi degli enti fiscali italiani, sussistono comunque delle condizioni di diritto anche internazionale che consentono di operare come si vuole mantenendo sedi amministrative estere.
L’esteroversione è ad ogni modo una pratica molto diffusa almeno finché non sarà ridimensionato il prelievo fiscale in Italia.
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