Salasso fiscale da 29 miliardi di euro, a giugno, per le aziende e le famiglie del nostro Paese. In piena emergenza economica e appena avviata la complessa “Fase 2”, per imprese e cittadini entro questo mese si profila una notevole stangata tributaria: i contribuenti italiani sono infatti chiamati a versare nelle casse dello Stato l’Ires, l’Irpef, e la cedolare secca sugli affitti: si tratta di 11,7 miliardi di tributi da saldare per il 2019 e altri 17,2 miliardi da pagare come acconto per il 2020.
È quanto segnala il Centro studi di Unimpresa secondo cui, per l’imposta sul reddito delle società (Ires) l’acconto vale 10,2 miliardi e il saldo 6,1 miliardi, per l’imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef) si profila un saldo da poco più di 5 miliardi con un acconto da circa 6 miliardi, mentre per il balzello sulle locazioni il versamento complessivo ammonta a 1,3 miliardi. «È impossibile pensare che al prossimo 30 giugno i contribuenti saranno in grado di adempiere alle scadenze fiscali perché l’economia non sarà tornata su un terreno positivo» commenta il consigliere di Unimpresa, Marco Salustri.
Secondo i calcoli del Centro studi di Unimpresa, gli incassi attesi con i versamenti estivi d’imposta ammontano a 28,9 miliardi complessivi. Di questi, 11,1 miliardi si riferiscono all’Irpef, 16,3 miliardi all’Ires e 1,3 miliardi alla cedolare secca. Per quanto riguarda l’Irpef, 5,1 miliardi sono a saldo delle competenze 2019 e 6,07 miliardi in acconto sul 2020; per quanto riguarda l’Ires, 6,1 miliardi sono a saldo dello scorso anno e 10,2 miliardi in acconto su quest’anno. Per quanto riguarda i saldi, la cifra in ballo, tra Irpef e Ires, è pari a 11,2 miliardi, mentre gli acconti valgono, tra Irpef e Ires, 16,3 miliardi. «Sono cifre rilevanti, che potrebbero dare ossigeno alle famiglie e alle imprese, contribuendo a far ripartire i consumi, gli investimenti delle aziende, il pagamento di stipendi e di fornitori. Le imposte si dovrebbero pagare quando è possibile. Se è vero, infatti, che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributive, è vero anche che, in tempi drammatici come questi, i contribuenti non hanno affatto capacità contributive. Per tale motivo i rinvii vanno fatti in ragione di una ripresa economica vera e ponderata» aggiunge il consigliere di Unimpresa. Secondo Salustri «anche lo sconto dell’Irap (imposta regionale sulle attività produttive) ha effetti distorsivi importanti: chi ha avuto un incremento del reddito nel 2019, avrà beneficio immediato, mentre chi ha ottenuto un calo del fatturato dovrà fare i conti con il recupero del credito che maturerebbe da questa agevolazione (a causa dei maggiori acconti versati l’anno precedente). Sempre con riferimento all’Irap gli imprenditori sono in attesa di chiarimenti certi circa l’applicazione contabile di questa agevolazione e la gestione del secondo acconto previsto per il mese di novembre 2020».
L’analisi di Unimpresa prende poi in considerazione i rischi a cui vanno incontro i contribuenti che non riusciranno a rispettare le scadenze fiscali nemmeno per gli adempimenti rinviati: il rischio è di trovarsi sommersi da accertamenti e poi da cartelle. «I rinvii dei versamenti d’imposta che dovrebbero far respirare le imprese in crisi di liquidità – spiega il consigliere di Unimpresa – si trasformano in vere proprie gabbie, nel momento in cui i contribuenti devono adempiere ai relativi versamenti, in un lasso di tempo ristretto come quello proposto per le varie scadenze, presumibilmente dal 16 settembre al 16 dicembre. Verrebbe invece da pensare che sia una manovra ben studiata: il governo sa benissimo che la maggior parte di imprenditori, ditte e lavoratori autonomi non pagherà le imposte questo giugno, ma sa altrettanto bene che quello che non incassa oggi lo incasserà tra qualche mese tramite l’emissione di avvisi bonari e cartelle di pagamento. Con questa procedura non solo può recuperare le somme accertate, che non sono state versate a giugno, ma anche con interessi e sanzioni, attraverso le quali recupererebbe anche parte dell’Irap abbonata: un’altra beffa».
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