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Fase 2: Unimpresa, sospendere Iva e azzerare Ires/Irap

Azzerare gli acconti Ires e Irap, ridurre e rimandare il saldo imposte a dicembre 2020, sterilizzare gli ex studi di settore per evitare che lievitino le imposte in caso di un punteggio basso, cancellare l’Iva per alcuni mesi con l’obiettivo di dare un forte shock ai consumi, sospendere gli avvisi fiscali “bonari”.

È quanto propone Unimpresa al governo sottolineando che finora non sono arrivati segnali veri di riduzioni fiscali per affrontare questa crisi che sembra non rallentare mai.  «Il premier Conte si scusa per il ritardo con cui l’Inps sta erogando i 600 euro per il sostegno alle famiglie e già parla di aumentare le somme a 800 euro. Il problema è capire chi veramente abbia percepito finanziamenti, perché il fondato timore è che l’istituto abbiamo ormai esaurito fondi necessari per tutti. Per non citare la beffa agli autonomi, iscritti a casse private, che hanno compilato la domanda più di un mese fa, ancora in lavorazione, neanche fosse un prestito da un 1 milione di euro» commenta il consigliere nazionale di Unimpresa, Marco Salustri.

Secondo il consigliere di Unimpresa «le imprese, ormai allo stremo, vedranno applicarsi il test delle società di comodo, disciplinato con l’articolo 30 della legge 724/1994 che, attraverso un test basato su percentuali di ricavi, in relazione ad alcune poste di bilancio, dirà alle imprese se sono “operative” o meno. In caso gli indici dessero esito negativo il risultato, per le imprese,  sarebbe di vedersi applicare un’aliquota Ires maggiorata di oltre 10 punti percentuali, con un’aliquota Ires complessiva di oltre il 34%». 

Salustri sottolinea «i ritardi infiniti, da parte delle Istituzioni europee, nel fornire risposte alle incessanti richieste da parte dell’Italia in merito alle misure finanziarie per l’emergenza. Verrebbe da pensare che sia una manovra europea per indebolire del tutto le già fragilissime imprese italiane per poi impossessarsene. Si ricorda, infatti, che ci sono numerose  costellazioni d’imprese che non raggiungono il mezzo milione di fatturato, ma che hanno un know how elevatissimo (specialmente nella componentistica progettata da ingegneri di eccellenza). In tutto questo il premier aspetta, inebetito, di essere convocato dai veri padroni dell’Unione Europea e rivendica, in televisione e sulla carta stampata,  per vittorie soltanto vacue promesse.

Le imprese, inoltre, già fortemente indebitate, non hanno alcun interesse ad ottenere prestiti che le esporrebbero ulteriormente nei confronti degli istituti  di credito. È facilissimo prevedere le conseguenze: chiusura definitiva dell’attività, con i lavoratori e le rispettive famiglie sul lastrico, o vendita delle quote a società straniere “affamate” di acquisire le competenze italiane che sono uniche nel panorama mondiale o, peggio ancora, essere cedute, in modo sotterraneo, ad organizzazioni criminali che estenderebbero le loro mani a 360 gradi su tutto il territorio nazionale.

Se si dovessero già trarre le conclusioni e dare un voto al governo, esso sarebbe eufemisticamente un  “non classificato” in quanto ha fatto tutto male fin dall’inizio, ritardando moltissimo la chiusura di questo paese e gestendo ancor peggio la crisi di liquidità indotta dal virus. Rimaniamo, ad oggi, in balia delle onde senza un esperto timoniere che sappia affrontare la tempesta come i capitani di un’altra epoca. Il rischio rimane un naufragio collettivo del sistema imprenditoriale italiano e, addirittura, del nostro Paese».

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