Il consigliere Assi: «Il governo entra in società con le nostre imprese e impone le strategie, calpestato il principio della libera iniziativa economica tutelato dalla Costituzione»
«La proroga dei contratti di lavoro a tempo determinato, anche in regime di somministrazione, disposta dal governo con il decreto rilancio, è incostituzionale. La norma calpesta con evidenza il principio della libera iniziativa economica garantito dall’articolo 41 della Costituzione: il governo con le sue imposizioni entra “in società ” con le nostre imprese imponendo loro le strategie». È quanto sostiene il consigliere nazionale di Unimpresa, Giovanni Assi, secondo il quale «le aziende e la Legge fondamentale dello Stato sono ancora una volta violentate. Anziché intervenire a supporto delle aziende, ci si sostituisce alle stesse imponendo loro scelte aziendali che dovrebbero essere frutto di strategie che competono (o dovrebbero competere) solo a chi si assume il rischio di impresa ovvero ci mette a repentaglio la sua azienda e la sua stessa famiglia. Il governo con le sue imposizioni entra “in società” con le nostre imprese imponendo loro le strategie».
Secondo Assi «in sede di conversione del decreto rilancio, all’articolo 93 si impone di prorogare la scadenza di un contratto non curante delle necessità aziendali e della libera volontà dello stesso lavoratore. Tale norma stabilisce che i contratti di lavoro a tempo determinato, anche in regime di somministrazione, sono prorogati di una durata pari al periodo di sospensione dell’attività lavorativa, prestata in forza dei medesimi contratti, in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da Covid-19. Questa disposizione, tuttavia, così come formulata, viola in modo lapalissiano i principi costituzionali in materia di libertà dell’autonomia dell’iniziativa imprenditoriale. In particolare, la Corte costituzionale ha già posto l’accento sulla legittimità di norme congegnate in modo da interferire nell’attività economica dei singoli operatori , turbando e comprimendo quell’iniziativa economica che è garantita dal primo comma dell’art.41 della Costituzione, pertanto, l’obbligo così come delineato, a mantenere prestatori d’opera contro le valutazioni fatte dall’imprenditore della propria organizzazione aziendale addossandosi un costo che non aveva valutato resta estranea al disposto del dettato costituzionale anche del terzo comma del medesimo».
A giudizio del consigliere nazionale di Unimpresa «questo palese esempio di incostituzionalità di norme, rappresenta solo l’ultimo atto di una recente tendenza del legislatore a porre in essere provvedimenti normativi border line, ovvero “invasivi” della sfera di libertà e di organizzazione delle imprese. Difatti sebbene nella norma che prevede un divieto di porre in essere licenziamenti per giustificato motivo oggetto e procedure di licenziamento collettivo finalizzate alla cessazione dell’attività aziendale nella sua prima formulazione apparentemente non sussisterebbero ragioni di contrasto tra l’articolo 46 del decreto rilancio e l’articolo 41 della Costituzione , in realtà la proroga posta in essere sino al 17 agosto 2020 (e la probabile estensione ulteriore fino al 31 dicembre) è esposta a profili di illegittimità costituzionale, in considerazione del disallineamento posto in essere dal legislatore tra la durata dell’obbligo e la copertura offerta dagli ammortizzatori sociali, in quanto ad oggi di fatto la stragrande maggioranza delle aziende italiane ha esaurito lo strumento della cassa integrazione per Covid ma continua ad avere il divieto di licenziamento.
Tale circostanza appare aggravata dal fatto che tali scelte hanno de facto comportato un danno anche per gli stessi lavoratori i quali, in costanza di licenziamento avrebbero potuto accedere a misure di sostegno al reddito più cospicue rispetto a quelle che sono state le misure offerte per l’emergenza Covid-19 (in media al di sotto del 50% del reddito perso dal lavoratore) ed in molti ancora ad oggi non erogate dall’Inps. Pertanto, anche tale obbligo, laddove non coperto da misure adeguate di sostegno al reddito, rappresenta una misura invasiva in dispregio del dettato costituzionale dell’articolo 41 della Costituzione comportando di fatto per l’imprenditore, con particolare riferimento alla circostanza di cessazione dell’attività aziendale ad addossarsi un costo che non aveva preventivato al quale difficilmente potrà far fronte stante l’esiguità di misure in supporto delle aziende per far fronte ad uno stato di emergenza nazionale senza precedenti nell’era moderna».
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