di Paolo Lecce
Quante persone vorrebbero e hanno voluto rispondere questa frase, o molto peggiori, in talune occasioni nell’ultimo anno? Tanti, veramente tanti.
Il clima della pandemia ha acuito in tutti sentimenti nascosti, molti hanno ritrovato l’amore nel vivere quotidiano in famiglia, altri l’amore dei prodotti fatti in casa, molti sono ritornati sui percorsi di fede, ma in molti altri questo stare in casa per forza ha tirato fuori il peggio di loro. Non è raro, infatti, la dinamica in cui si denuncia alle autorità spesso attraverso i social, persone che in zona rossa sono uscite di casa in violazione delle normative Covid -19.
Sui social non si fa sconti a nessuno: chi fa jogging, chi esce per un motivo qualsiasi, per il leone dell’internet non ha scusanti. Va riconosciuto e punito.
Ecco che spuntano, di conseguenza, targhe di auto, numeri di vie e abitazioni, nomi e cognomi, tutto per una falsa coccola al proprio ego credendosi giustizieri del bene.
Ebbene, non solo risultano essere, agli occhi della comunità, gente annoiata e priva di una vita propria, ma anche lo Stato ha deciso di punire queste “lotte inquisitorie”.
Proprio per ovviare a questa becera dinamica, infatti, si è deciso di avviare una politica di denuncia di ragione diffamatoria, nel decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19 contenente “Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19” pubblicato nella Gazzetta Ufficiale non si parlava in alcun caso di violare le norme privacy spiando chi usciva di casa.
Ergo, chi pubblica sul proprio o sull’altrui profilo Facebook la foto di un soggetto senza averne prima l’autorizzazione, commette un reato. E la legge sulla privacy punisce con la reclusione fino a due anni e non solo, anche perché si esegue un illecito trattamento di dati personali tramite internet.
Difatti, la pandemia, non faceva decadere le normative già in vigore.
Poco importa il mezzo con cui si decide di mettere alla gogna mediatica qualcuno, il reato rimane comunque tale e sì, anche i gruppi WhatsApp ne fanno parte.
Giocare a fare gli Investigatori Privati non è una buona idea per i singoli cittadini che, mossi per noia o voglia di infastidire, cadendo in errore molto facilmente possono rischiare davvero molto.
Parliamoci chiaro, una volta per tutte: ognuno ha il proprio ruolo e, non essendo più l’Italia in un periodo medievale, giocare a fare gli inquisitori è fuori moda da molto tempo.
Se si desidera con tutto sé stessi essere d’aiuto alle autorità contro la lotta alle infrazioni, allora si può parlare con il corpo dei vigili urbani, ogni comune ne ha uno ed è raggiungibile telefonicamente. Errato in questi casi utilizzare i numeri dell’emergenza nazionale, 112 NUE – è il numero di telefono per contattare i servizi di emergenza nell’Unione europea, attivo in tutti gli stati europei e il 113 che è sia il numero telefonico di emergenza italiano sia la denominazione del servizio della Polizia di Stato preposto a rispondere alle chiamate d’emergenza dei cittadini.
Forse, i leoni da tastiera, dovrebbero rendersi conto che, se non si conosce una persona, non si possono sapere le motivazioni di una presunta infrazione alle normative.
Farsi i “casi” propri è, comunque, sempre una buona idea, soprattutto civile e rispettosa nei confronti del prossimo che, probabilmente, non sta violando alcuna normativa ma ha motivazioni ben accettate per permettersi di uscire.
Piuttosto di puntare il dito sugli altri, perché non iniziare un nuovo hobbies, proprio con le dita, il web è pieno di tutorial che ti dicono cosa fare con le dita delle mani e a volte dove mettersele.
Ma proprio per gli irriducibili, sappiate che oltre alla pena per violazione di privacy potreste essere attaccati direttamente dalla parte offesa e allora si che può costarvi davvero molto caro.
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