di Marco Salustri – Consigliere nazionale di Unimpresa .
Ormai risulta evidente, dagli affollati contenuti del NaDEF e dalle ultime dichiarazioni del ministro dell’Economia e delle Finanze, Roberto Gualtieri, che per una riforma organica del sistema fiscale si dovrà attendere il 2022 ed oltre. Almeno tre anni ancora, con l’ipotesi di uno slittamento alla prossima legislatura. E che le prime misure saranno varate, nel 2021, nella legge di bilancio, in corso di formazione, con la previsione monstre di 22 collegati alla manovra, che dovranno superare le sabbie mobili delle aule parlamentari. Una riforma in due o tre tempi, quindi, dovuta ai contrasti tra i partiti di maggioranza, che suscita non poche perplessità, perché, come in passato, sarebbe disorganica e renderebbe ancora più intricata quella “giungla fiscale”, che tormenta da sempre la vita dei contribuenti italiani e delle PMI, ostacolandone la ripresa, specie dopo il collasso pandemico, peraltro ancora in corso. Altro che fisco più semplice, più chiaro, più equo e più giusto! In carenza, inoltre, di un’indicazione univoca, ed ufficiale, dei principi generali che governeranno il nostro futuro ordinamento fiscale, anche alcune misure preannunziate restano avvolte in una nebulosa di ipotesi, con riferimenti incongrui ad altri ordinamenti, come a quello tedesco: dall’IRPEF all’IVA.
La tanto annunciata riforma dell’IRPEF, infatti, secondo il modello tedesco, stando alle dichiarazioni, dovrebbe riportare equità in termini di tassazione per gli scaglioni centrali di reddito che ricomprendono la fascia tra i 28 e i 55 mila euro, alla quale si applica un’aliquota del 38%, e quella tra i 55 e i 75 mila euro a cui applicare un’aliquota del 41%. Entrambe le aliquote, appena citate, dovrebbero essere trasformate, presumibilmente, in un’unica aliquota del 36%. Di questa prima modifica IRPEF rimane da capire come verranno trattate le spese deducibili e detraibili per i contribuenti ossia se, finalmente, verranno aumentate le aliquote di detraibilità per le spese sostenute per sé e per i propri familiari a carico. Aspetto, questo, da non sottovalutare se si vuole ridurre sensibilmente l’evasione fiscale. Ciò che non viene colto, come problema principale, è che, più che armonizzare le aliquote degli scaglioni IRPEF, si devono “decomprimere” gli scaglioni stessi. Si prenda, ad esempio, il modello degli scaglioni IRPEF degli Stati Uniti d’America. Il sistema americano prevede la tassazione anche delle fasce di reddito più basse fino a 9.525 mila dollari, con un’aliquota del 10%, ma l’aliquota più alta prevista dal loro sistema è pari al 37%, su redditi oltre i 500 mila dollari. Un’aliquota, dunque, ben più bassa della nostra maggiore aliquota del 43% su redditi oltre 75 mila euro e di quella tedesca del 45% oltre i 260 mila euro. E’ facile intuire come la tassazione diventi realmente più “leggera” in un sistema anglosassone piuttosto che in un sistema italo-tedesco, in cui si insiste su rimpasti di aliquote che, in ogni caso, graverebbero sempre e solo su redditi, di fatto, molto bassi.
Ancora nella nebbia riguarda la tassazione delle partita IVA per cassa. Oggi sarebbe impossibile applicare una simile tassazione ai redditi di tutte quelle società che calcolano le imposte con il sistema delle riprese fiscali. E’ uno dei metodi del calcolo delle imposte tra i più complessi al mondo e, conseguentemente, con un altissimo margine di errore. L’Italia è tra i paesi in cui le imprese impiegano il maggior tempo per l’elaborazione delle imposte attestandosi a ben oltre 260 ore annue! Una vera riforma fiscale dovrebbe basarsi proprio sull’IRES che grava soprattutto sulle PMI e le micro imprese, che rappresentano il tessuto economico-produttivo del nostro Paese. Una vera riforma dell’IRES dovrebbe prevedere la deducibilità integrale dei costi, sui quali il fisco possa intervenire in un secondo momento per verificare la bontà o meno degli stessi. Per realizzare questo meccanismo sarebbe sufficiente un sistema di contabilità in cloud, nel quale sia l’impresa che l’agenzia delle entrate abbiano accesso e possano cooperare, in tempo reale, per dimostrare la bontà degli incassi e dei pagamenti. Solo con quanto descritto, in estrema sintesi, sarebbe possibile gestire un flusso di incassi per cassa.
Un altro censurabile intervento del ministro riguarda la lotteria degli scontrini. Al fine di incentivare l’uso degli strumenti elettronici di pagamento, cosa di per sé giusta, per tracciare i flussi finanziari del contribuenti, è prevista a partire dal 1 gennaio 2021, un’estrazione settimanale, mensile e annuale, con premi che vanno da 5 mila a 5 milioni di euro. Questo intervento si associa con un altro annuncio ossia la previsione di un “rimborso” del 10% di quanto speso in sei mesi, fino a 1.500 euro, solo se cashless, ossia utilizzando solo moneta elettronica. Non è ancora chiaro, però, a quali spese si riferisca il rimborso del 10%. Sarebbe utile capire, inoltre, se il rimborso avverrà tramite un rimborso effettivo di denaro speso o, come probabile, tramite l’ennesimo credito d’imposta/bonus da inserire nella propria dichiarazione dei redditi. More solito. Una riforma vitale, come quella di tutto l’ordinamento fiscale nazionale, per il contrasto all’evasione e all’elusione, per la tranquillità dei contribuenti e per la salvaguardia delle piccole e medie imprese, nonché per la ripresa dello sviluppo, dopo un annus horribilis, che vedrà crollare il PIL oltre il 10%, si sta riducendo ad una sarabanda di annunzi, sia sui contenuti che sui tempi di realizzazione. Una lotteria, questa certo, della confusione e della disinformazione fiscale!
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