di Marco Salustri
Per tutte le società di capitali si avvicina una delle scadenze più importanti per la vita aziendale: l’approvazione del bilancio societario. In un quadro normativo, in cui non c’è ancora alcuna certezza e chiarezza circa l’impatto che le norme fiscali avranno sui propri rendiconti, le disposizioni, ad oggi confermate dal Governo Draghi, risultano insufficienti e inappropriate. Il D.L. 183/2020, convertito con la legge 21/2021, all’articolo 3, comma 3, consente un differimento per l’approvazione dei bilanci di ulteriori 60 giorni rispetto ai 120 previsti dall’ordinamento. Sono state, inoltre, alleggerite le cause di scioglimento delle società di capitali al di sotto del minimo legale. Gli amministratori non dovranno convocare, senza indugio, l’assemblea per ripianare immediatamente le perdite, ma avranno tempo, per rimediare, fino al quinto esercizio successivo a quello, in cui la perdita stessa è maturata. Viene concesso dall’articolo 60 del D.L. 14 agosto 2020 n. 104, anche la possibilità, per i soggetti che applicano le disposizioni previste dai principi contabili nazionali, di derogare all’articolo 2426 del c.c. in materia di ammortamenti materiali e immateriali, affinché le imprese possano non contabilizzare gli ammortamenti, in tutto o in parte, nel bilancio 2020, ed evitare l’aggravarsi di eventuali perdite civilistiche.
Da quanto esposto emerge che, tuttavia, per le PMI, non risulta adottata alcuna politica fiscale specifica che tenga conto del loro status finanziario. Al contrario, verranno applicati gli ISA – ex studi di settore a tutte quelle imprese che non hanno avuto una perdita superiore al 33% del fatturato, rispetto all’anno precedente, o che non rientrano nella lista dei codici ateco della tabella 2 delle istruzioni degli ISA. Come se non bastasse, non è stata sospesa, per l’anno d’imposta 2020, la normativa che riguarda la disciplina fiscale per le società di comodo che impone, alle imprese, di dichiarare un reddito minimo a prescindere se lo abbiano realmente prodotto o meno, in base ad alcune poste che si trovano nell’attivo dello stato patrimoniale. E’ facile prevedere quali gravose maggiorazioni d’imposta si vedrà addebitare la maggior parte dei piccoli e medi imprenditori italiani.
Un’autentica beffa!
Non è stata, inoltre, formalizzata una sostanziosa rottamazione delle cartelle negando, di fatto, la possibilità di reinvestimento alle imprese. In più, dal 1 maggio prossimo ripartirà l’attività di notifica e riscossione per le cartelle bloccate o sospese dall’8 marzo 2020. Questa politica economico/fiscale è il preludio di bilanci societari disastrosi, nel migliore dei casi con azzeramento della liquidità e, nel peggiore, con liquidazioni societarie e fallimenti a catena. Verrebbe da sospettare che il governo si stia organizzando al solo scopo di conseguire cospicue raccolte di liquidità, per adempiere agli obblighi di bilancio imposte dall’Unione europea, senza valutare la finanza e l’economia delle PMI. Nè appaiono chiare le politiche d’investimento del Recovery Fund che dovrebbero puntare all’aggregazione d’imprese, soprattutto nelle zone più svantaggiate del paese, al fine di rendere competitive le nostre imprese, nei confronti dei concorrenti europei, e di incrementare l’occupazione, abbattendone i costi. La manovra economico/fiscale dei ristori, sostegni e aiuti continua ad essere la costante e, quasi, unica forma di sostegno, per altro insufficiente, alle PMI, ma che, in economia, trova il suo valido impiego soltanto nel brevissimo periodo. In quanto le PMI hanno flussi di cassa gestibili in un lasso di tempo molto ravvicinato a causa proprio degli elevatissimi costi dei dipendenti e di una imposizione fiscale del tutto insostenibile.
Le imprese, per chiudere decorosamente i propri bilanci, avrebbero bisogno di una rimodulazione della fiscalità che preveda sgravi importanti e rinvestimenti, da parte degli imprenditori, per rimettere in moto la macchina dei consumi. Per far ripartire l’economia, in tutta la filiera produttiva del paese, si dovrebbe elaborare una prassi macroeconomica che accentui l’attenzione sulla semplificazione fiscale, da intendersi come forte riduzione del numero delle norme attualmente in vigore e una più equa distribuzione delle aliquote impositive, sgravi fiscali, aggregazioni d’impresa e un maggiore dialogo con le imprese stesse al fine di comprendere realisticamente le loro necessità.
Purtroppo quanto enunciato, alla voce fisco, nel Recovery Plan, all’attenzione del Parlamento, per i contenuti generici della riforma generale e per il cronoprogramma indicato, non riuscirà ad evitare, per le PMI, bilanci disastrosi e azzeramento della liquidità. O, in alternativa, liquidazioni societarie e fallimenti a catena.
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