Report del Centro studi dell’associazione in vista dell’approvazione definitiva della delega per la riforma fiscale. Sul totale di 500 miliardi di euro di tasse incassate, 377 miliardi arrivano da Irpef e Iva. Il prelievo fiscale sulle società vale 45 miliardi (9%), mentre le rendite finanziarie sono intaccate per soli 9 miliardi (meno del 2%). Chi fuma versa nelle casse pubbliche 11 miliardi, la tassa sulla speranza (giochi e lotto) si attesta a 5,6 miliardi. Il consigliere La Duca: «Servono una rigorosa semplificazione e un taglio netto ai prelievi»
Oltre il 75% del gettito fiscale in Italia arriva da Irpef e Iva: se la tassa sui redditi da lavoro dipendente vale, con i suoi 205,8 miliardi di euro, il 41,2% degli incassi dello Stato, il balzello sui consumi si attesta, con 171,6 miliardi, al 34,3%. Lo Stato italiano, insomma, “campa” tassando lavoro e consumi, che fruttano 377,4 miliardi su quasi 500 miliardi complessivi di gettito, mentre tutti gli altri tributi e imposte – compresi i prelievi sui big della finanza e sulle rendite finanziarie – valgono 122,4 miliardi, pari al 24,5% del totale. I fumatori pagano 11 miliardi (2,2%) per il loro vizio, mentre la tassa sulla speranza (giochi e lotto) si attesta a 5,6 miliardi (1,1%). È quanto emerge da un report del Centro studi di Unimpresa, realizzato a pochi giorni dall’approvazione definitiva, da parte del Parlamento, della delega fiscale al governo per la riforma fiscale, secondo il quale dalle imprese, comprese le grandi aziende, le banche e i gruppi industriali, nelle casse pubbliche arrivano “solo” 45,6 miliardi (9,1%) e i proventi finanziari, invece, assicurano l’1,8% del gettito (8,9 miliardi). «Per dare il nostro assenso complessivo e il nostro giudizio definitivo all’intervento normativo è necessario aspettare il testo definitivo della delega e, soprattutto, i testi dei decreti delegati. Sarà soltanto in quella occasione che il governo scoprirà le carte e ci consentirà di capire se il riassetto del sistema tributario italiano va nella direzione auspicata ovvero quella di una rigorosa semplificazione e della riduzione del livello di tassazione sia per le imprese sia per le famiglie: serve un taglio netto ai prelievi. Nell’ottica di raggiungere i migliori obiettivi possibili, nell’esclusivo interesse del nostro Paese, riteniamo indispensabile essere ascoltati ed essere convocati, come abbiamo già chiesto, per partecipare al confronto in corso tra il governo e le parti sociali. Unimpresa rappresenta una fetta importantissima del tessuto produttivo italiano, le micro e piccole imprese, ragion per cui la nostra voce non può restare inascoltata» commenta il consigliere nazionale di Unimpresa, Manlio La Duca.
Secondo il report del Centro studi di Unimpresa, il totale del gettito fiscale nel 2022 si è attestato a 499,8 miliardi di euro. La tassa “più importante” è l’Irpef (imposta sul reddito delle persone fisiche) con i suoi 205,8 miliardi di gettito, pari al 41,2% del totale. In seconda posizione, c’è l’Iva (imposta sul valore aggiunto) che vale 171,6 miliardi (34,3%), mentre al terzo posto si piazza l’Ires (imposta sul reddito delle società) con 45,6 miliardi (9,1%). Lavoro e consumi, insomma, valgono 377,4 miliardi cioè il 75,5% del gettito totale, percentuale che sale all’84,6% se si somma anche l’incasso dell’Ires per complessivi 423 miliardi. L’intera galassia delleaccise frutta complessivamente 35,5 miliardi pari al 7,1% del totale: nel dettaglio, le accise sui prodotti energetici garantiscono 18,1 miliardi (3,6%), quelle sui tabacchi 10,9 miliardi (2,2%), quelle sul gas naturale3,7 miliardi (0,7%), quella sull’energia elettrica 2,8 miliardi (0,6%), quella sull’alcol 800 milioni (0,2%). Passando alle attività e agli investimenti finanziari, l’imposta sostitutiva sui proventi vale 8,9 miliardi (1,8%). Tutto l’universo dei bolli, poi, garantisce 7,6 miliardi (1,5%), mentre da giochi e lotto (la tassa sulla speranza) arrivano 5,6 miliardi (1,1%). L’imposta di registro, applicata su vari atti pubblici, comprese le compravendite immobiliari, incide sul gettito statale per 5,5 miliardi (1,1%), il balzello sulle assicurazioni vale 4,2 miliardi (0,8%), l’Imu (imposta municipale unica) 4 miliardi (0,8%), il canone tv 1,9 miliardi (0,4%), le imposte ipotecarie 1,8 miliardi (0,4%) e la tassa su successioni e donazioni 1 miliardo (0,2%).
«Il nostro sistema Paese è frenato da un impianto tributario che zavorra, sotto molteplici punti di vista, le attività economiche: sulle nostre imprese e sui lavoratori pesano aliquote e prelievi fiscali tra i più alti nell’Occidente e a ciò si aggiunge una architettura normativa che strangola sul piano operativo i contribuenti» aggiunge La Duca. «Non è un caso che regole così farraginose e complesse ogni anno diano il via a una valanga di ricorsi, segno che il rapporto tra amministrazione finanziaria e cittadini calpesta quotidianamente i principi dello Statuto del contribuente. E non è un caso che centinaia di miliardi di euro di imposte accertate, proprio sulla base di leggi e regole astruse, non si riescano a recuperare» sottolinea il consigliere nazionale di Unimpresa.
Più nel dettaglio, per quanto riguarda l’Iva in Italia, che nel 2023 compie 50 anni dalla sua entrata in vigore (1 gennaio 1973), va ricordato che l’aliquota ordinaria era stata fissata in partenza al 12% nel 1973, per poi salire al 14% nel 1977, al 15% nel 1980, al 18% nel 1984, al 19% nel 1989, al 20% nel 1997, al 21% nel 2011 e al 22% nel 2013. L’aliquota media applicata nell’Unione europea è pari al 21,5%: i paesi con prelievo più alto rispetto all’Italia, sono: Ungheria (27%); Croazia, Danimarca e Svezia (25%); Finlandia e Grecia (24%); Irlanda, Polonia e Portogallo (23%). I livelli più bassi, invece, si trovano in Lussemburgo (17%) e Malta (18%). L’aliquota ridotta, in Italia, oggi al 10% massimo, nella fase inziale era al 6%, mentre quella super-ridotta, introdotta nel 1991, è sempre rimasta al 4%. Dal 1973 al 1991 era in vigore anche una aliquota maggiorata: inizialmente fissata al 18%, salita al 30% nel 1975, al 35% nel 1977, al 38% nel 1982, dopo ulteriori modifiche è stata definitivamente abolita nel 1993.
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