di Giovanna Ferrara, Presidente Unimpresa
Se una eventuale tassa sugli extraprofitti bancari, viste le cifre di cui si parla in questi giorni, comportasse un esborso di circa 4 miliardi di euro, credo che si tratti di una cifra decisamente gestibile per i conti dei nostri istituti. D’altronde, nel 2022 e nel 2023 le banche italiane hanno realizzato profitti importanti che non sono però frutto di una attività di impresa in senso stretto, perché non c’è stata una maggiore assunzione di rischio da parte delle banche, ad esempio aumentando i prestiti a famiglie e imprese, ma sono semplicemente il risultato del radicale cambiamento di politica monetaria da parte della Banca Centrale Europea. Il forte rialzo dei tassi ha consentito alle banche, schiacciando semplicemente un bottone, di realizzare utili per 25 miliardi di euro nel 2022 e di 40,6 miliardi nel 2023.
Per quanto sia difficile definire il concetto di extraprofitto, in un momento così complesso, con forti difficoltà per le finanze pubbliche, non ci sembra quindi sbagliato un contributo alla collettività da chi ha beneficiato di una politica monetaria decisa fuori dai nostri confini. Nel 2021 le banche sul totale del loro fatturato hanno fatto 38,4 miliardi di margine di interesse, cioè ricavi da prestiti. Questa voce è salita a 45 nel 2022 e a 62,1 nel 2023. La differenza tra 38,4 e 62,1 è probabilmente quell’extraprofitto che il governo ha individuato per ragionare con le banche e chiedere loro di restituire qualcosa alla collettività.
Le banche dovrebbe avere una ‘funzione sociale‘: l’hanno avuta sicuramente molto di più in passato mentre negli ultimi dieci anni l’esasperazione della corsa agli utili e ai dividendi, in uno scenario di concorrenza sfrenata fra gli istituti, ne ha ridimensionato il ruolo sociale. E a farne le spese sono stati i clienti: infatti gli ultimi dati sull’andamento dei prestiti dimostrano come a fronte di utili notevoli le banche hanno ridotto significativamente il credito alle famiglie e soprattutto alle imprese.
Nonostante la caduta verticale delle ultime sedute dei corsi azionari delle banche italiane, solo nel nel medio lungo periodo si vedrà se siamo davanti a una inversione di tendenza. Di sicuro, in questi giorni ha pesato anche il timore di una recessione negli Stati Uniti. Tuttavia, non dimentichiamo che ad agosto dello scorso anno, quando il governo era intervenuto sugli extra profitti, le banche avevano vissuto un momento critico in borsa: ma il calo momentaneo dei titoli non ha pregiudicato il resto dell’anno che è stato chiuso a gonfie vele e con altri risultati importanti anche nell’ultimo trimestre. La congiuntura favorevole di questi ultimi anni ha consentito alle banche di aumentare la capitalizzazione e anche i vari coefficienti patrimoniali. Quindi sono in condizione di poter affrontare scenari più sfavorevoli, ad esempio con aumenti degli NPL e delle sofferenze che sicuramente ci saranno nei prossimi 18-24 mesi. Insomma, hanno accumulato benzina per poter gestire eventuali criticità.
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