L’ipotesi che la Grecia esca dall’euro corre il rischio di trasformare l’area unica monetaria, specie agli occhi degli investitori e dei mercati internazionali, in un accordo di cambio valutario. Ciò implicherebbe una serie di conseguenze negative, specie per i paesi che negli scorsi anni sono stati più esposti alle turbolenze cagionate dalla crisi finanziaria e che potrebbero immediatamente finire sotto la pressione di nuovi, imprevedibili attacchi speculativi. Così il Centro studi di Unimpresa spiega uno dei possibili effetti di una eventuale uscita della Grecia dall’area unica monetaria dell’Unione europa.
Secondo il Centro studi di Unimpresa, l’Italia, insieme con l’Irlanda, il Portogallo, la Spagna e forse anche la Francia (le cui finanze pubbliche presentano ancora elementi di criticità), potrebbe pagare le conseguenze più rilevanti derivanti dalla cosiddetta “Grexit”. Si possono intravedere effetti di due tipi. Il primo è di breve periodo, sullo spread: il differenziale di rendimento sui titoli di Stato italiani sarebbe destinato a salire rapidamente, incidendo pertanto sul costo del servizio del debito e quindi pregiudicando, in misura non facile da quantificare in questa fase, gli equilibri di bilancio e il rispetto dei parametri previsti dai trattati dell’Unione europea sia sul versante del rapporto tra deficit e pil sia per quanto riguarda l’indebitamento complessivo. Nel medio-lungo periodo, in assenza di miglioramenti rapidi, i paesi più colpiti si troverebbero in una situazione di difficoltà strutturale con il risultato di creare una zona euro di “serie B”, minando ancora di più la solidità dell’area unica, e si creerebbero i presupposti per un mutamento di fatto in un accordo di cambio valutario.
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