di Marco Massarenti, Consigliere nazionale Unimpresa Sanità e Welfare
Cosa succede ai conti della sanità da tre anni a questa parte?
Come ormai risaputo la sanità italiana non gode di buona salute sotto molti punti di vista anche quello economico. I conti sono misurati tra la differenza delle entrate previste dallo Stato (per la copertura dei Lea) e le spese sostenute per l’assistenza sanitaria. I dati indicano che nel 2020 la sanità era in rosso per 800 milioni, nel 2021 per 1,025 miliardi e nel 2023 per 1,469 miliardi. Un cedimento vertiginoso se si pensa che alcune regioni dal 2021 sono passati da un avanzo di 40 milioni a un disavanzo di circa 180 milioni di euro.
In Italia le previsioni di spesa per la sanità rispetto al PIL sono le seguenti: per il 2024/6.2% e per il 2026/ 6.1%. Distanti da una media europea del 7.1% e ancor più da alcuni Stati come ad esempio la Germania 10.9%.
Alla fine del 2020 i milioni stanziati per recuperare le prestazioni saltate per il Covid non sono stati ancora spesi. Solo il 69% di questi è stato utilizzato e per lo più al Nord ed è qui che entrano in gioco le infinite liste d’attesa dovute al mancato servizio. Un servizio che si potrebbe ottimizzare utilizzando tutti i fondi previsti in assunzioni di medici e infermieri da collocare in strutture pubbliche esistenti.
Basti pensare che il target a livello nazionale di recupero dei ricoveri ospedalieri è stato ottenuto al 66%, per la prevenzione al 67% e per visite e esami al 57%. I cittadini dunque sono privati dei Livelli Essenziali di Assistenza che devono invece ricevere per diritto come anche stabilito dal DPCM del 12 gennaio 2017. Tre sono i grandi Livelli individuati: Prevenzione collettiva e sanità pubblica, Assistenza distrettuale, Assistenza ospedaliera.
È fortemente chiaro quindi, che La sanità italiana è in stato di alta sofferenza tra regioni con conti in rosso (15 nel 2022) e altre (7) che non raggiungono la sufficienza rispetto all’erogazione dei Lea, ovvero le cure e le prestazioni che il Servizio sanitario nazionale garantisce ai cittadini gratuitamente o con il pagamento di un ticket.
Come si è arrivati a questo punto?
L’esasperata situazione, già compromessa da tempo, è sicuramente da attribuire al periodo pandemico appena trascorso e per cercare di sollevarne le sorti, il PNRR ha destinato alla Missione Salute € 15,63 miliardi, pari all’8,16% dell’importo totale. Questa somma serve per sostenere importanti riforme e investimenti a beneficio del Servizio sanitario nazionale, da realizzare entro il 2026.
Per recuperare l’immagine di una sanità efficiente dopo il covid, si è pensato di passare dal Pubblico al Privato per sanare la situazione. Vengono costruiti Ospedali Privati non utilizzabili e lasciati cadere a pezzi Ospedali Pubblici esistenti. Si fa crescere il Privato a discapito del Pubblico.
A questo proposito, nel 2021, viene varata la Riforma della Sanità per il potenziamento dei servizi territoriali. Si è passati alla realizzazione di nuove strutture e presìdi più vicini al cittadino. La riforma prevede la costruzione di Case e Ospedali di comunità, Centrali operative territoriali per la presa in carico dei pazienti cronici ed infine l’istituzione di un Centro per la prevenzione e il controllo delle malattie. Il progetto prevedeReti di prossimità, strutture e telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale.
Il piano presume la costruzione di 381 Ospedali di Comunità entro la metà del 2026.Gli investimenti sono per un Miliardo di euro.
E’ evidente che questo genere di servizio accentuerebbe il rischio di nuove diseguaglianze tra territori, non solo tra città e provincia ma soprattutto tra Nord e Sud e anche in maniera anomala subdola il processo di privatizzazione.
Pertanto per erogare servizi universalmente accessibili, in risposta alla maggioranza dei problemi di salute del singolo e della comunità, il SSN dovrebbe perseguire il rafforzamento dei servizi territoriali tramite lo sviluppo di strutture di prossimità che promuova lo sviluppo di équipe multidisciplinari.
Parrebbe una buona idea se non fosse che invece, per l’assunzione del personale da collocare nelle Case di Comunità non è stata stanziata nessuna somma, per cui gli Ospedali di Comunità che dovevano salvare l’andazzo della nostra sanità sono inutilizzabili. Conveniamo quindi che i soldi spesi per queste strutture potevano essere usati per reintegrare personale sanitario e far meglio funzionare gli Ospedali Pubblici già esistenti? Come si può parlare di équipe se siamo in carenza di personale medico e infermieristico?
Da una relazione della Corte dei Conti sulle case di comunità Lombarde si evince che la principale criticità è la mancanza del personale medico. Su 89 case di comunità, solo 19 avevano il pediatra di libera scelta e meno della metà il numero medici di base previsto per legge. Inoltre ha evidenziato una mancata rendicontazione delle spese sostenute per i lavori di ristrutturazione e non emerge con chiarezza la fonte delle risorse impiegate.
Queste strutture intermedie dovrebbero avere lo scopo di ridurre accessi impropri ad ospedali e pronto soccorso e di facilitare il momento di transizione dalle strutture ospedaliere al domicilio, ma da dati effettivi risulta che ognuna di queste case di comunità, dopo essere stata costruita è rimasta chiusa o semi aperta. Inoltre, alcune di esse non hanno ancora i requisiti per essere accreditate.
A Bergamo ad esempio, una Casa di Comunità che dovrebbe essere obbligatoriamente aperta H 24 e 7 giorni su 7 fino a poco tempo fa era attiva solo come Servizio di Continuità Assistenziale fino a chiudere anche quella per carenza di medici. Una città come Bergamo che dovrebbe contare su una forza di 200 medici ne conta solo 30, costretti a non coprire il turno settimanale. Risultato? Sedi scoperte e medici che continuano a licenziarsi.
Ci si domanda ancora: se già adesso il servizio sanitario non ha abbastanza personale per Ospedali Pubblici, come si può pensare di reperirne altri per le strutture da costruire? In sostanza, non si sa dove trovare medici, infermieri e operatori sanitari, né con quali risorse pagarli, come si può pensare dunque, alla costruzione di Case della Salute senza aver previsto le risorse per il loro funzionamento? Si tratta di strutture destinate a rimanere in disuso fino a far crollare tutto l’architrave della sanità territoriale.
Appare ovvio che gli Ospedali di comunità sono il paradosso dei futuri poli sanitari già senza medici e infermieri, il rischio di non poter essere curati è sempre più alto perciò è il momento di dire basta alle scelte strategiche politiche se non quelle a beneficio di tutta la cittadinanza.
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