Qualche mese fa abbiamo appreso dai media la notizia che è la Spagna il primo Paese europeo a introdurre il congedo mestruale in ambito lavorativo; provvedimento adottato nel continente asiatico e australiano già da anni. Nel nostro continente, quindi, è il paese ispanico a fare da apripista provando a sdoganare uno stigma discriminativo che sussiste e persiste sul posto di lavoro nei confronti delle donne come quello di non considerare come invalidante il ciclo mestruale doloroso; situazione invece che nelle sue manifestazioni più o meno patologiche può interferire seriamente con il lavoro e le attività quotidiane.
Il welfare aziendale risulta essere un considerevole potenziale per la conciliazione della sfera personale con quella professionale oltre ad essere un altrettanto notevole supportoin tema di maternità/paternità e sostegno familiare; è proprio grazie a queste condizioni che, secondo alcuni studi, il welfare porterebbe anche ad un miglioramento delle capacità produttive dei lavoratori e delle lavoratrici.
Il congedo mestruale tutela le donne che soffrono di dolori debilitanti dovuti alladismenorrea primaria o secondaria (endometriosi, adenomiosi uterina, fibromi) dando loro il diritto di assentarsi dal lavoro per un dato periodo di tempo ogni mese. Dovrebbe essere riconosciuto a tutte le donne che sono affette dalla sindrome dismenorroica considerando che è un sintomo di intensità e durata molto variabile da donna a donna alcune delle quali hanno sintomi accentuati tanto da essere costrette alla sospensione dell’attività lavorativa, sportiva e anche scolastica.
Secondo quanto emerge dai dati provvisori dell’Istat riferiti all’occupazione femminile attuale italiana le donne occupate sono più di 9 milioni e secondo i dati del Ministero della salute 3 milioni con diagnosi dismenorroica conclamata. Quest’ultimo un dato non poco rilevante che dovrebbe far riflettere il governo sull’importanza di prendere in considerazione quanto finora asserito in merito al provvedimento. Non basta che siano alcune aziende a farsene carico in autonomia come già suggeriscono alcune realtà, è necessario che vi sia una legge ben definita e definitiva che tuteli le donne che ne sono affette e non solo in ambito lavorativo ma anche scolastico. Un recente studio pubblicato sul British Medical Journal, sostiene che in media, la popolazione femminile perde l’equivalente di circa nove giorni di lavoro o di studio l’anno a causa del calo di produttività legato alla dismenorrea. Una ricerca australiana inoltre asserisce che su circa 20mila giovani donne intervistate il 20% ha ammesso di aver fatto assenze a scuola o all’università nel corso dell’anno per colpa dei dolori, e il 41% ha dichiarato di avere problemi di concentrazione durante il ciclo mestruale affermando che i disturbi possono compromettere lo studio e di conseguenza il rendimento scolastico.
Detto ciò si attende con fiducia che se la proposta di congedo mestruale già presentata al nostro governo nel 2016 è stata accantonata, adesso che l’Italia e gli Italiani hanno fortemente voluto al timone una donna venga riconsiderata, ripresentata, capita e accolta non solo come atto di solidarietà femminile ma anche come consapevolezza di un welfare capace di migliorare in modo considerevole lo status aziendale di ogni impresa. Si auspica che venga vista per ciò che è realmente e cioè un’opportunità per le realtà lavorative e non un’ulteriore discriminazione. Si spera anche che alla domanda “Quanto tempo bisogna aspettare che questa misura di welfare femminile venga adottata in Italia” la risposta avvenga in modo sorprendentemente celere, favorevole e attuativa
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