MANCA UNA VISIONE UNIVOCA E GLOBALE DEL SISTEMA PAESE E DELLA SUA RIPRESA ECONOMICA
di Marco Salustri
Per quest’ultimo terzo decreto economico c’era molta attesa e tensione e gli imprenditori, ormai allo stremo, aspettavano un cambio di rotta serio, vero e concreto. Invece, a causa della miopia del governo, è stata sancita l’agonia delle imprese italiane.
Innanzi tutto, lo “sconto” inerente l’imposta regionale sulle attività produttive, sia per il saldo che per l’acconto del mese di giugno, non trova una vera giustificazione macroeconomica.
L’aliquota media per questa imposta impatta sulle imprese per circa il 4% e sarebbe stato, dunque, più utile ridurre l’Ires che ha una pressione fiscale del 24%. Infatti, l’Ires, imposta sul reddito delle società, è estremamente gravosa per le imprese coinvolte in una fase congiunturale, in cui la liquidità per le stesse è praticamente pari allo zero.
Lo sconto dell’Irap, saldo e I acconto, diventa, purtroppo, l’ennesima “mancetta” concessa ai contribuenti invece di un vero sostegno alla ripresa. Inaccettabile la possibilità che è stata concessa agli organi accertatori di avere più tempo per accessi e ispezioni a causa di questi pochi mesi di proroga per i versamenti delle imposte, facenti riferimento ai mesi di marzo, aprile e maggio 2020 al 16 settembre 2020, a riprova che il legislatore è sempre e solo “pro” Agenzia delle Entrate.
Sempre incomprensibile appare la scelta del legislatore di rinviare l’invio delle cartelle e accertamenti ai primi giorni del 2021: sostanzialmente il nuovo decreto rinvia al 2021 la notifica di tutti gli atti impositivi, i cui termini di decadenza scadono tra il 9 marzo e il 31 dicembre 2020. Sarebbe stato più ragionevole “abbonare”, per utilizzare il termine generico usato di recente dal Ministro Gualtieri, una parte di queste cartelle per dare respiro alle imprese e permettere alle stesse di reinvestire il risparmio d’imposta ottenuto. L’economia avrebbe avuto una spinta più decisiva per la ripartenza.
Indecifrabile, poi, la sospensione del versamento dell’Imu, Imposta municipale unica, per tutti quei proprietari di immobili, destinati ad attività alberghiera, purchè vi esercitino l’attività ricettiva stessa. Questa norma è discriminatoria tra chi possiede ed esercita l’attività alberghiera nello stesso immobile e chi possiede solo l’immobile che ha concesso in locazione alberghiera.
Infine, l’aiuto di Stato inteso come fondo perduto, varierà da un minimo di 1.000 euro ad un massimo di 50.000 euro a seconda degli scaglioni di fatturato. Anche per tale “sostegno” si ravvede uno scarso impatto sul ciclo finanziario delle aziende, perché queste somme non sono sufficienti per far ripartire la loro economia in quanto verranno, con tutta probabilità, impiegate per ricolmare le casse degli imprenditori che hanno anticipato la cassa integrazione o per il loro sostentamento.
Quanto riassunto mette in evidenza come l’ennesimo decreto del Governo Conte sia un cumulo di misure di galleggiamento ma che, di fatto, non può essere chiamato di “Rilancio”. Un vero rilancio punta a misure ad alto contenuto macroeconomico che siano capaci di alleggerire la pressione fiscale senza semplicemente rinviarla di qualche mese e che dia i mezzi finanziari alle imprese per ripartire rapidamente.
Le maggiori agenzie di rating lo sanno molto bene e, attente alle incapacità di questo governo, declassano le nostre banche e il nostro sistema finanziario agevolando, di fatto, l’ingresso dei competitor nelle compagini sociali delle aziende italiane.
Tirando le somme si constata ancora una volta come questo governo non abbia, dopo mesi di errori, una visione d’insieme del sistema imprenditoriale nazionale, carenza dimostrata dalla continua emissione di decreti poveri di contenuti ed estremamente settoriali per tamponare soltanto emergenze temporanee.
Una vera visione d’insieme potrebbe stimolare la crescita globale e non solo “tappare buchi”, come farebbe un marinaio inesperto sulla sua imbarcazione mentre affonda. Il Governo Conte avrebbe dovuto mandare segnali forti agli alleati europei, ad esempio proponendo, o imponendo, la riduzione drastica delle imposte dirette, come l’applicazione di un Ires al 15%, e indirette, attraverso una riduzione vera dell’Iva per far ripartire nel brevissimo periodo i consumi, dimostrare fiducia nei confronti degli imprenditori, evitando inutili allungamenti dei periodi di accertamento, che generano maggiore sfiducia nei confronti dello Stato.
Dove sono finiti i veri statisti italiani di un tempo? Quegli statisti che sapevano parlare all’Europa e al mondo intero, i quali hanno reso l’Italia una grande potenza economica? Per quanto tempo ancora riusciremo a vivere di “assistenzialismo”? Basterà il coraggio degli imprenditori italiani ad affrontare questa traversata nel deserto?
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