Se l’aspetto positivo della complessiva manovra finanziaria varata dal governo è dato dal fatto che quantitativamente essa è sufficiente per il raggiungimento del pareggio strutturale di bilancio, dal punto di vista qualitativo gli interventi previsti presentano alcune pecche di non poco rilievo. Ad un esame più attento, infatti, la manovra risulterebbe troppo iniqua, incapace di stimolare adeguatamente la crescita e non in grado di intervenire in maniera radicale sui tagli alla spesa improduttiva.
Eppure, il Documento di Economia e Finanza impegnava il governo a realizzare la manovra dall’alto della riduzione della spesa. Invece, diversamente da quanto proclamato, si realizza la correzione prevalentemente con aumenti di entrata. Questo aspetto non è certo un dato positivo, perché l’aumento della pressione fiscale al 2014 sarà almeno di un punto e mezzo di Pil rispetto ad una pressione già molto elevata, superiore al 42,5% del prodotto stesso. Da questo punto di vista è facile prevedere che al 2014, se la manovra si realizzerà compiutamente, avremo certamente un effetto recessivo (ovvero di riduzione dello sviluppo economico del paese) superiore a quello che si sarebbe determinato se essa fosse stata fatta principalmente dal lato delle uscite.
A conti fatti, si tratta di una manovra che grava in maggior misura sulle entrate e per un terzo sulle minori spese. Vediamo perché.
Fra i tagli di spesa, la parte del leone consiste nel taglio ai trasferimenti a Regioni, province e comuni (7,4 miliardi a regime) e alla spesa sanitaria (5 miliardi), gestita dalle Regioni. Sono previsti anche tagli ai ministeri che, a regime, dovrebbero raggiungere i 6 miliardi. Verranno attuati col sistema dei tagli lineari, a meno che i singoli dicasteri attuino le procedure previste dalle spending reviews, rivitalizzate dopo essere state abbandonate per tre anni.
Le pensioni contribuiranno con circa un miliardo, ma alla luce di quanto affermato dal Governo dopo la presentazione della legge (il ritocco dell’indicizzazione riguarderà solo le pensioni di importo superiore ai 2300 euro), il contributo netto si dovrebbe attestare attorno a 300 milioni. La nuova versione della manovra correttiva dei conti pubblici prevede che numerosi regimi di esclusione, esenzione e favore fiscale siano automaticamente ridotti del 5% nel 2013 e del 20% complessivo nel 2014 se il governo non riuscirà a recuperare almeno 4 miliardi nel 2013 e 20 miliardi nel 2014 dal riordino della spesa sociale e dalla riforma del fisco. Si tratta di detrazioni Irpef, comprese quelle per lavoro, pensione e carichi famigliari, che ne rappresentano la quota di gran lunga più significativa. Alcune interessanti simulazioni mostrano che l’impatto complessivo sarebbe chiaramente regressivo sia per quanto riguarda l’Irpef sia per l’Iva. Pesano in particolare le minori detrazioni dell’imposta sul reddito.
La delega fiscale dovrà reperire 15 miliardi in aggiunta a quelli necessari per finanziare la rimodulazione delle aliquote Irpef che dovrà avvenire, secondo quanto sostenuto dal Governo, senza peggiorare la posizione di alcun contribuente. Quindi, presumibilmente, la manovra rinviata dovrà mobilizzare 25 miliardi con imposte sostitutive (l’unica spesa cui si fa riferimento nella legge delega è quella assistenziale).
Pertanto, se entro un paio d’anni non si otterranno dalla legge delega fiscal-assistenziale risparmi molto significativi, scatterà un meccanismo di “taglio lineare” delle agevolazioni oggi presenti nel nostro sistema fiscale.
Le maggiori entrate proverranno soprattutto da imposte regressive, come l’imposta sui depositi titoli (che raggiungerà fino a 3 miliardi e mezzo), a somma fissa. Colpirà i piccoli risparmiatori azzerando i rendimenti di un investimento di 30.000 euro in titoli di stato. Poi ci sono le tasse sui giochi, praticati soprattutto da persone con redditi medio-bassi.
Le maggiorazioni all’Irap su banche e assicurazioni (quasi un miliardo di gettito nel 2012) sembrano incoerenti con l’obiettivo di ricapitalizzare gli istituti di credito.
Il contributo delle entrate sarà ancora maggiore se gli enti locali si rifaranno dei tagli ai trasferimenti aumentando le imposte locali. Da qui a fine legislatura, il contributo delle spese all’aggiustamento è addirittura negativo. Tutto l’onere grava sulle entrate. Si noti che nei documenti presentati alle autorità europee, il Governo si era impegnato ad un aggiustamento “prevalentemente sul lato della spesa”.
Non si vedono misure consistenti per rilanciare lo sviluppo, se non piccoli rifinanziamenti di fondi infrastrutturali. Eppure, nelle bozze circolate subito dopo il Consiglio dei Ministri c’era una liberalizzazione degli ordini professionali. Poi nel testo sono cominciate ad apparire eccezioni (niente notai, architetti, etc.).
Infine l’articolo è uscito del tutto dalla manovra ed è apparsa una proposta di legge. Non è più che un elenco di titoli. Dovrebbe dare vita prima a un disegno di legge delega da porre al voto come provvedimento delegato alla manovra. Insomma siamo in altissimo mare.
Il sostegno alle start up era già nel decreto sviluppo. Qui ci sono solo risparmi sulla cifra stanziata in quella occasione. Ed è legittimo avanzare seri dubbi sull’efficacia di questa misura. In Italia nascono molte imprese: i tassi di natalità sono più o meno in linea con quelli degli altri paesi Ocse. Il problema è che queste imprese, poi, non crescono. Per rimuovere i vincoli alla crescita delle imprese bisognerebbe fare tante cose, tra cui avere mercati finanziari che funzionano meglio. E questa manovra si muove nella direzione opposta. Spingerà molti italiani a chiudere i depositi titoli e tenere ogni risparmio sul conto corrente (una compensazione per le banche colpite dall’inasprimento Irap?).
Paolo Longobardi, presidente nazionale Unimpresa
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